Miracoli e miracoli: passeggiate della memoria nei paesaggi dell’infanzia

Acquedotto_Pugliese_-_Sorgente_del_Sele_1868Più passa il tempo più mi accorgo che è meglio non rifare, se non con la memoria, certi viaggi del passato, perché il confronto con la realtà può essere deludente. Allora è meglio riviverli nella memoria, i luoghi, legare l’un l’altro ricordi personali e storia reale, miti e suggestioni, tempi e date diversi per ricostruirsi a modo proprio quegli itinerari che non potranno mai più essere ripercorsi nella realtà, perché la loro realtà ha subito una radicale trasformazione.

Narra una leggenda familiare, di cui sono ormai quasi unica depositaria, che quando ero poco più che neonata sia stata in punto di morte per una malattia, e che mio padre, comunista anticlericale convinto, preso dalla disperazione, mi abbia avvolto in uno scialle e si sia avviato verso un santuario nei dintorni del paese nel quale vivevamo allora, per “chiedere una grazia al santo”. Pare che io sia guarita prima ancora di arrivare, e che mio padre sia tornato a casa tutto contento, dopo la lunga passeggiata nei boschi, riportandomi indietro risanata.

Questa storia mi è molto cara. Mi ha sempre dato la certezza dell’amore di mio padre, tanto forte da spingerlo a un’azione così poco consona al suo carattere e alle sue idee, azione che in ogni caso ha dato i suoi frutti, non sappiamo ancora se per virtù di un miracolo o del suo amore o della fresca aria silvana (io sono più incredula di lui, se possibile…)

Da bambina ho rifatto molte volte quella passeggiata, che attraverso i boschi collegava due minuscoli paesi dell’Appennino campano: Calabritto e Caposele. Il viaggio nella frescura degli alberi fino a una piccola cappella di pietra considerata miracolosa, la casa del pellegrino, la colazione al sacco, l’acqua delle sorgenti, mia nonna, mia zia, mio padre e mia madre, i miei fratelli più piccoli…. Di così tanto mi è’ rimasto tanto poco. Neanche la vecchia chiesa c’è più, distrutta dal terremoto del 1980.

Di tanto in tanto ritorno in questi luoghi per una forma di nostalgia, e rimango male nel non ritrovare i miei ricordi ma un mondo moderno, con case di cemento mai finite, i ferri dei piloni sporgenti dai tetti, orribili “zone industriali” desolate ed edifici pubblici che sembrano astronavi atterrate in questi paesaggi rurali solo per deturparne l’aspetto, al posto delle scalinate in pietra bianca strade con pendenze da capogiro per permettere il passaggio alle auto. Scopro che la fama dei miracoli di quel santo della mia infanzia si è diffusa tanto, e al posto della vecchia chiesa c’è un moderno grande edificio in cemento con sale e sale cariche di ex voto, circondato da un vasto parcheggio sempre pieno di autobus di pellegrini e di auto in sosta. Come farà a sopravvivere il santo, abituato al silenzio dei boschi? Forse in un mondo parallelo ci sono altri boschi, e mio padre discute con lui della possibilità dei miracoli, di Dio e della vita che è passata senza arrivare a trovare una risposta (“… O forse il problema/ non sarà mai risolto?” come dice il caro Federico Garcia Lorca).

E’ strano il fatto che, in un primo tempo, fosse direttamente la Madonna – Santa Maria de Silere, forse una ninfa dei fiumi? – a fare i miracoli: la sua chiesa esiste sin dal 1200.  Vi sono due leggende (i miti di fondazione dei culti si somigliano un po’ tutti): una è che la madonna apparve, sospesa su un sambuco, a dei contadini, chiedendo di costruire la chiesa in quel luogo; l’altra che una statua sia invece stata ritrovata da un gruppo di contadini. Nel 18° secolo il santo giunse a Santa Maria de Silere, poi Materdomini, e da allora la fama dei miracoli è diventata così grande da attirare pellegrini da ogni parte d’Italia (per non parlare degli emigranti) ancora oggi, in epoca di grande laicità dei costumi.

sorgenti-del-sele-caposele-acquaSolo una cosa mi ha dato davvero emozione in questo ultimo “viaggio”: vedere la forza del fiume imbrigliata alle sorgenti dall’ingegno dell’uomo.  Un altro grande miracolo, laico questa volta, compiuto in quel luogo agli inizi del Novecento.

Caposele è, come dice il suo nome, caput Silari, il punto in cui, dalle pendici calcaree del monte Paflagone (nome che rimanda ad antiche popolazioni dell’Anatolia giunte fin qui in seguito a migrazioni) nasce il Sele, uno dei fiumi più importanti della Campania. Fino a quel momento il paese era un luogo fluviale: dalle diverse sorgenti si diramavano vari torrenti che si riunivano a valle in un fiume, e sulle sue rive, sin dalla fine del 18° secolo, sorgevano Sorgenti-del-Sele-Caposelegualchiere, mulini, frantoi, tintorie, elementi di un paesaggio proto-industriale che si è protratto fino agli inizi del Novecento, quando un’opera, grandiosa per altri aspetti, vi ha messo fine: il grande Acquedotto Pugliese. L’opera, avviata nel 1906, fu voluta per dare sollievo alla millenaria sete della Puglia, cantata anche dal poeta Orazio in un biglietto all’amico Mecenate: siderum insedit vapor siticulosae Apuliae.

La costruzione dell’acquedotto durò circa dieci anni: tanti ce ne vollero per realizzare i 244 Km di lunghezza (3000 Km comprese le diramazioni) del “Canale Principale” che fa dell’acquedotto del Sele il più grande d’Europa. L’opera fu completamente costruita a mano, in pietra e mattoni, perforando le rocce dell’Appennino campano. Ci lavorarono circa 15.000 operai. Gli impianti di captazione furono messi in funzione intorno al 10 aprile 1915, e dopo quattro giorni l’acqua raggiunse, alla bella velocità di 4 km l’ora, la prima fontanella di Bari. L’inaugurazione avvenne infatti il 14 aprile 1915, pochi giorni prima che l’Italia entrasse in guerra.

Per arrivare a quel risultato la geografia di Caposele venne completamente modificata. L’acquedotto segnò la fine del paesaggio così come era stato conosciuto fino ad allora: sparito il piccolo lago formato dalle cascatelle sorgive, sparite le attività industriali del paese, che ne ebbe in cambio dal governo un “ristoro” (dal che il detto che i caposelesi “hanno venduto l’acqua e a adesso cantano e bevono”); e abbattuta finanche la chiesa di S. Maria della Sanità, che era stata costruita nel 1839 a monte delle sorgenti per ringraziare la Madonna di aver risparmiato il paese dalla epidemia di colera del 1837. Ma la ditta costruttrice fu obbligata a rialzarla pietra per pietra, la chiesa, appena più lontano dal luogo originario, dove è rimasto soltanto il campanile: impossibile abbatterlo, tutti quelli che ci provarono morirono, finché si decise di lasciarlo dove era. E le cose tornarono a posto.

Di quell’antica bellezza romantica oggi non resta nulla. Al posto del laghetto sorgivo un campo di stoppie. Ma nella casina dell’acquedotto è possibile ammirare la potenza del fiume, e la potenza dell’ingegno dell’umano che ha saputo imprigionarne e dirigerne la natura selvaggia per raggiungere il risultato di dissetare una regione arida. I 3500 litri di acqua al secondo scorrono vorticosamente nelle due gallerie, alla temperatura di 8° e alla velocità, come già detto, di 4 km l’ora. I macchinari sono quelli, perfettamente funzionanti, dell’inizio del Novecento, manovrati a mano con la cautela necessaria per impedire che la forza dell’acqua distrugga il lavoro dell’uomo.

Le acque del fiume, insieme a quelle di altri affluenti dell’acquedotto, finiscono la loro corsa nel mare del Salento, ai piedi del santuario di Santa Maria di Leuca, detto anche “de Finibus Terrae”. Un caso o un disegno preciso? Se santa Maria de Silere poteva essere una ninfa dei boschi, il santuario di Leuca sorge sul luogo dedicato un tempo a Minerva, la dea dell’ingegno.

santa maria di leuca

(Immagini tratte dal web)

 

Miracoli e miracoli: passeggiate della memoria nei paesaggi dell’infanziaultima modifica: 2016-09-03T08:19:00+02:00da bibliosaura
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