3 romanzi sulla Biblioteca

escherSono una Bibliosaura, perciò il mio pascolo preferito è la biblioteca. Sono fortunata perché ho potuto starci tutti i giorni, per anni, e conoscerne molti segreti. Ad esempio, nelle biblioteche ci sono molti libri che parlano di biblioteche.  Strano? Non tanto.  La storia delle biblioteche e la loro natura  – di cui parlerò un’altra volta – ne ha fatto  una metafora potentissima della tensione tutta umana a padroneggiare e a gestire la conoscenza prodotta nel corso dei pochi secoli di cui è fatta la storia dell’uomo (nulla rispetto alle migliaia e migliaia di anni della vita dell’universo, eppure tanto, se si pensa alla enorme quantità di pensiero prodotta e resa materiale dal supporto che la contiene): tensione e necessità di padroneggiare, conservare e trasmettere alle generazioni future ciò che costituisce in qualche modo l’eredità della specie umana, il patrimonio genetico dello Spirito che distingue l’uomo dalle altre specie (almeno così si crede).  Il proliferare delle biblioteche e delle informazioni da essa diffuse, il sogno della biblioteca universale che periodicamente ritorna, ha sollecitato la fantasia di molti scrittori. Ne citerò soltanto tre, che amo particolarmente, anche se la storia della letteratura abbonda di biblioteche immaginarie.

Il più noto di tutti è certamente Borges, lo scrittore argentino autore de la Biblioteca di Babele (in Finzioni). La biblioteca, insieme al labirinto, è uno dei simboli più importanti dell’opera narrativa di Borges.  Il racconto è l’angosciante descrizione di una biblioteca così enorme e complessa da diventare infinita e inconsultabile, e totale perché i suoi libri ripropongono oltre che tutte le possibili combinazioni delle lettere dell’alfabeto, anche tutte le possibilità del presente, del passato e del futuro. Borges gioca in questo racconto con la fantasia opprimente di tutti coloro che si interrogano sulla enorme complessità della conoscenza, che un essere umano da solo non potrà mai affrontare (non vi sono, nella biblioteca, 2 soli libri identici) e la necessità di trovare, in questo Mare Magnum, l’unico libro che contiene la verità, e che quindi renderebbe inutili tutti gli altri. Una contrapposizione tra scienza e fede? No, soltanto la triste consapevolezza della impossibilità di comprendere e dunque descrivere il mondo in cui viviamo, l’universo che ci contiene:  «Da queste premesse incontrovertibili dedusse che la Biblioteca è totale, e che i suoi scaffali registrano tutte le possibili combinazioni dei venticinque simboli ortografici (numero, anche se vastissimo, non infinito) cioè tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue. Tutto: la storia minuziosa dell’avvenire, le autobiografie degli arcangeli, il catalogo fedele della Biblioteca, migliaia e migliaia di cataloghi falsi, la dimostrazione della falsità di questi cataloghi, la dimostrazione della falsità del catalogo autentico, […] la traduzione di ogni libro in tutte le lingue, le interpolazioni di ogni libro in tutti i libri. »

Contenendo tutto, la Biblioteca non contiene alcuna Informazione: ecco un altro aggancio estremamente interessante alla realtà della nostra epoca: l’oppressione che può provocare l’informazione quando è troppa, quando ci sommerge completamente e non siamo più capaci di distinguere quella utile dall’inutile, il grano dal loglio. Naturalmente Borges è conscio di ciò e infatti scrive, in tempi precedenti alla rete: «M’inganneranno, forse, la vecchiaia e il timore, ma sospetto che la specie umana – l’unica – stia per estinguersi, e che la Biblioteca perdurerà: illuminata, solitaria, infinita, perfettamente immobile, armata di volumi preziosi, inutile, incorruttibile, segreta.»

La biblioteca de Il nome della rosa è invece una realtà tutto sommato tranquillizzante rispetto a  quella descritta da Borges, in quanto contiene un sapere abbastanza noto nelle sue delimitazioni: l’hic sunt leones separa ciò che è lecito da ciò che non lo è, ma appartiene pur sempre all’ambito del possibile: Umberto Eco subisce il fascino potentissimo della biblioteca e di Borges ma vi inserisce la sua visione classica e razionale del sapere. Si tratta di una biblioteca monastica, perché il romanzo è ambientato in un Medioevo percorso da frati ed eresie, in bilico tra fede e superstizione, tra ’Inquisizione e Ragione. Ma la biblioteca contiene tutta la summa del sapere allora conosciuto e rassicura dunque sul passato dell’uomo, ed anche sul suo futuro, in una sorta di continuità culturale che solo in parte può essere distrutta. Interessanti sono i nomi dei personaggi, e ne citerò, ancora una volta, solo tre: Guglielmo da Baskerville, il frate inglese che indaga sugli omicidi (chiarissimo, per chi ne conosca l’opera, richiamo a Sherlock Holmes e quindi al giallo), il vecchio frate cieco Jorge, nel cui nome e nella cecità Eco ha voluto rivelare la sua ascendenza al racconto di Borges, e Bernardo Gui, vero inquisitore preso dalla Storia. Anche per l’architettura della biblioteca Eco si è ispirato al suo maestro, descrivendo un intricato labirinto a cui hanno accesso solo il bibliotecario e il suo aiutante, ma ne ha ribaltato le posizioni: la Biblioteca non è inquietante come quella di Borges, ma è narrata come un luogo di desiderio – il desiderio per la conoscenza che pervade Guglielmo da Baskerville e lo espone al pericolo di una condanna per eresia. Quando i libri bruciano, e dunque anche il misterioso secondo volume della Poetica di Aristotele – quello che parla del riso e della commedia – così vanamente inseguito,vediamo uscire Guglielmo dalla biblioteca in fiamme con le braccia cariche di volumi, nel disperato tentativo di salvare dal rogo la sapienza antica. Un’altra caratteristica di questo romanzo è di essere esso stesso una biblioteca, per la grande quantità di informazioni che contiene e per la sua struttura binaria: un capitolo narrativo si alterna ad un capitolo di saggio sulle principali eresie medievali, a formare due libri distinti, che si possono leggere anche indipendentemente l’uno dall’altro. Letti insieme, l’uno illumina l’altro.

La terza biblioteca è invece un’anti-biblioteca. Si trova nel romanzo A senso inverso di Philip K. Dick, scrittore di fantascienza vissuto in America intorno agli anni ’50 del secolo scorso. La sua fantascienza non è chiara e descrittiva come quella di Asimov, ma delirante, angosciosa, onirica. Racconta di mondi irreali, mondi che nascondono l’irrealtà dietro l’apparenza della realtà, e che per questo destano inquietudine. La realtà non è mai come appare. Da suoi racconti sono stati tratti film come Blade runner e Minority report.

Tra le altre cose, questo romanzo mi ha stupito perché ripropone pari pari una mia fantasia infantile: non riuscendo a immaginare la morte, pensavo che, arrivati ai 50 anni, gli esseri umani avrebbero cominciato a ringiovanire fino a tornare neonati, per poi cominciare di nuovo a crescere,in una sorta di tiramolla esistenziale.

Dick parte questa affascinante ipotesi di inversione temporale: d’improvviso il tempo inizia a scorrere all’inverso, e regredire, per cui le persone non muoiono più ma ripercorrono la loro vita fino all’infanzia, fino a ritornare nel grembo materno, e i morti si risvegliano per riprendere anche loro il viaggio a ritroso nella propria storia. Le biblioteche sono gestite da malvagi cancellatori, il cui incarico è appunto quello di “cancellare” gli scritti e le invenzioni non appena il tempo ritorni al momento in cui non sono più state inventate, un mondo dove le religioni sono in lotta fra loro e con lo stato, e dove un gruppo religioso, gli Uditi, la fa da padrone. Un libro davvero affascinante, che nasconde una grande storia d’amore dietro le vicende del sig. Hermes, proprietario del Vitarium Fiasca di Hermes, una sorta di agenzia pompe funebri, ovviamente, al contrario. Anche in questo caso la biblioteca ha un ruolo centralissimo, diventando l’anagrafe rovesciata di un mondo, una civiltà che va lentamente scomparendo nel frastuono dei risvegli dei morti e dei ritorni nel grembo materno. Il tempo ritorna su stesso divorando tutto ciò che è stato prodotto nel, diremmo, viaggio di andata. Dick ha immaginato così la probabile fine della nostra civiltà: non con un evento apocalittico, ma con una progressiva cancellazione delle conoscenze, delle abilità acquisite, della memoria. La biblioteca, che è ciò che ci interessa, diventa la testimone del progressivo cancellarsi del tempo e delle sue cose, della conoscenza degli uomini che lentamente ritornano ad uno stato primordiale, fino al momento in cui non vi sarà più un solo libro da cancellare, e la biblioteca potrà cancellare se stessa. Ma si cancellerà, o resterà, come quella di Borges, sola e incorruttibile, e vuota?

 

3 romanzi sulla Bibliotecaultima modifica: 2017-02-02T13:15:00+01:00da bibliosaura
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