Viaggi – Marsiglia à jamais

Sono arrivata a Marsiglia la prima volta in auto, al tramonto, dall’autoroute du Soleil. L’ultimo sole di luglio incendiava nuvole e tetti, e l’automobile attraversava strade e strade in discesa, finché non ha incontrato un ostacolo naturale alla sua corsa: il mare. Un mare appena intravisto tra le gli scafi e gli alberi che ondeggiavano al vento nel Vieux Port. La prima di tante altre volte. L’inizio di un lungo amore. Chissà perché mi venne in mente il romanzo di Jean Claude Izzo “Il sole dei morenti”. Forse perché cerco sempre, nei luoghi in cui vado, la letteratura di cui mi nutro, forse perché la luce della città, così calda e dolce, accoglieva allo stesso modo me come il protagonista alla fine di una fuga?

La città intorno al porto odorava di salmastro. Un vento ruvido batteva le strade, portando con sé sbuffi di calore. L’estate di Marsiglia può essere afa opprimente, oppure cielo azzurro e nuvole spintonate dal mistral.

Parlare di Marsiglia non è un vuoto esercizio da guida turistica, perché essa sfugge ai cliché a cui siamo abituati parlando di città visitate. Marsiglia è una città che vive nelle sue strade, tra la gente, nella allegria della parlata meridionale aperta e piena di vita, e nei pastis che accompagnano lo scorrere delle ore. Al primo sguardo può apparire disordinata, trascurata, forse sporca. Ma in realtà quest’apparenza inganna. Marsiglia è come una bella donna che non si trucca. Perché non ne ha voglia, non ne ha bisogno, ha altro a cui pensare. Perché preferisce conservare i vecchi bistrot con la loro aria da secolo scorso piuttosto che rifarli da capo, a ogni cambio di gestione. Marsiglia trattiene il tempo, questa è la verità.
Rivela lentamente la sua storia, e la rivela soltanto a chi ha la pazienza di aspettare, di addentrarsi nelle vie, di prendersi del tempo e di perdersi nel tempo. Molte altre volte ci sono tornata, in stagioni diverse, ripetendo ogni volta i vecchi tragitti, scoprendone di nuovi, ritrovando sempre la stessa atmosfera cordiale e rilassata, la gentilezza degli abitanti. Tanta gente per le strade, troppo vento a volte, troppo sole in estate.
Perciò questo racconto non riguarda un solo viaggio ma tanti viaggi.

All’angolo tra il Vieux Port e la Canébiere, l’ufficio del turismo espone i prodotti tipici del territorio: le stoffe provenzali, l’olio, il sapone, la lavanda, i santon. Scoprii che Marsiglia, come Napoli, ha le mani nell’argilla: un’antica tradizione di statuette di terracotta per i presepi, che qui sono detti crêches (culle). Come a Napoli, i santon hanno delle fiere natalizie, ma si possono trovare anche fuori stagione. Per nostalgia di mia madre ne comprai un paio in un mercatino dell’usato. Io non faccio più il presepe da anni, ma mia madre, nella sua giovinezza, dipingeva i pezzi fatti dal cognato e poi andava in giro a venderli nei paesi. Non ne ho neanche uno, dei suoi pastori. Conservo dentro di me questa coincidenza come una dolce saudade. Anche nella famiglia dove abito c’è qualcuno che lavora l’argilla.

Dal Vieux Port alla Canebiére. E lì, come diceva Dumas, ci viene incontro il mondo. Un mondo esotico e sconosciuto, antico e moderno, indaffarato e lento. Questa è la vera scoperta. Marsiglia, porto delle meraviglie, appare subito come una città che vive, respira e lavora per sé, piena di gente e di culture diverse, dove il turista si confonde con gli abitanti perché in apparenza non ci sono luoghi particolari da visitare col naso all’aria se non la città stessa, tutta intera, coi suoi quartieri e i suoi passaggi, dove il vecchio e il nuovo si confondono.

Sotto il centro commerciale cittadino – il Centre Bourse – le stratificazioni delle antiche città focese e romana raccontano una storia di millenni.
Una città di salite e discese.
I giorni trascorrono in lenti giri che rivelano esotiche meraviglie. I grandi palazzi ottocenteschi con i vetri a piombo e le persiane di legno verde, raccolti intorno a giardini. Mercati rionali e bistrot di altri tempi, con le tendine ricamate sui vetri satinati, dove bere una pression o un pastis, al riparo dal caldo e dal rumore. Strade eleganti e moderne accanto a quartieri troppo vecchi per essere ristrutturati. Ricordo di aver provato tristezza quando ho visto le ruspe abbattere le case fatiscenti del quartiere di Belsunce. Le stanze sventrate mi parlavano di antiche intimità, di sogni appassiti, della storia trascorsa tra quelle mura, di musiche vecchie come la carta da parati lacera penzolante dai denti della scavatrice. Sono una persona nostalgica, che si nutre anche della nostalgia degli altri. Che immagina le vite degli altri, cerca di ricostruirle. Proust, così mi chiama una mia amica. Ma che ci posso fare?

Ho scoperto la rue de Noailles con l’olfatto. I profumi delle spezie mi raggiunsero mentre ero ancora sulla Canèbiere. Mi hanno fatto da guida, trascinandomi al centro di un dedalo di stradine che sono un pezzo di nord Africa trasportato sull’altra riva del Mediterraneo. Qui si aprono botteghe all’antica, merci esposte sulla porta in sacchi di iuta: spezie multicolori, legumi, frutta disposta a piramide, stoffe vivaci avvolte intorno ai manichini al posto degli abiti… Ecco, Marsiglia è anche questo. Tanti viaggi racchiusi in uno solo. Comprai un sacco di spezie, quella volta. Un altro modo per viaggiare senza muoversi troppo è provare a cucinare piatti di paesi lontani.
Oppure ballare balli di terre lontane in dancing improvvisati in un appartamento dalle parti del vieux port.

Da Noailles, girovagando, scoprii il cours Jullien. Ci si arriva per una lunga rampa di scale che sale dal Lieutard. Sembrava un quartiere abitato soltanto da giovani. Caotico e disordinato, un po’ bohemien. Bistrot, cafeterias, spazi culturali. I muri delle case coperti da murales. La domenica capita spesso di imbattersi nei vide grenier, mercatini familiari in cui chiunque può vendere le proprie vecchie cose e comprarne altre, altrettanto vecchie, e andare via portando con sé un pezzo della vita degli altri. La vita degli oggetti, la memoria della vita degli altri nei loro vecchi oggetti, un altro capitolo della storia della nostalgia.

Le lunghe passeggiate sul Vieux Port sature di scoperte. Il mercato della Crièe, dove comprare il pesce appena pescato, e il teatro della Criée, che ha rubato il nome al vecchio mercato conferendogli una nuova eternità; le banchine dei traghetti per le isole del Frijoul; in fondo, quasi alla fine del braccio sinistro del porto, il fort saint Nicolas, costruito su uno sperone di roccia non lontano dalla cattedrale di Saint Victor, bellissimo edificio gotico del XII secolo, reminiscenza di culti ancora più antichi. Nella cattedrale c’è una Madonna nera. La chiesa è collegata al centro della città, il Vieux Port, attraverso la rue Sainte. La toponomastica salva la storia dall’oblio. Di fronte, sull’altro lato del porto, c’è il forte St-Jean, massiccia costruzione in pietra del XVI secolo da dove partivano i crociati per la Terra Santa, fatto costruire dall’ordine ospitaliero di San Giovanni, da cui il nome. Accanto al forte, la Torre della lanterna, o del Roi René. Ma qui le memorie si stratificano: in tempi molto lontani, ancora più lontani delle crociate, una piccola flotta di Focesi, provenienti dall’Asia Minore, approdò su queste coste deserte dando origine alla città.
Il desiderio spasmodico di imparare la lingua, di appropriarmi di una musicalità nuova. Parlare con tutti, a casaccio, sbagliare, catturare parole, sorridere scoprendo somiglianze col mio dialetto napoletano.

Se a Marseille fa caldo, ci sono diverse possibilità di rinfrescarsi: entrare in una libreria Gibert Joseph, ad esempio. Certo, ci sono molte altre librerie, molto più attrezzate e aggiornate. Ma Gibert Joseph ha il pregio di proporre libri nuovi a metà prezzo, edizioni sconosciute, stelle comete dell’editoria che sono rimaste sugli scaffali un mese e poi sono scomparsi. E’ possibile trascorrerci anche mezze giornate, ed uscire, di nuovo nella calura, carichi di tesori.

E poi andare al parc Borely. Attrezzati di una stuoia e dei libri presi da Gibert, si trascorre l’altra metà della giornata a godersi gli acquisti all’ombra di una quercia o di un platano (ma può anche essere un ontano o un frassino) nati centinaia di anni prima, piantati in quel luogo alla fine del 1600 dai giardinieri dell’uomo d’affari Joseph Borely, che aveva fatto la sua residenza di campagna sui diciassette ettari della tenuta ora di proprietà del municipio di Marsiglia. Ma, non volendo impigrirsi al fresco venticello, si possono noleggiare le bici e sfrecciare tra i viali del giardino inglese, francese e cinese, oppure visitare il museo botanico all’interno del castello, oppure fermarsi a dare un po’ del pane avanzato dal picnic alle anatre che si rinfrescano nel laghetto centrale. O assistere ai mondiali di petanque, il gioco tradizionale marsigliese…

Il parc Borely è molto vicino alle spiagge urbane di Marsiglia. Il Parco balneare del Prado è proprio lì, con le sue sei grandi insenature strappate alla costa rocciosa delle calanques, perciò al tramonto ci si può spostare alla più vicina, la plage Borely, appunto, e godere degli ultimi raggi del sole sorseggiando un caffè o un pastis ad uno dei tanti caffè e ristorantini che la costellano. Volendo, ci si può fermare a cenare alla luce della luna, e, con un po’ di fortuna, assistere a un concerto…
Di giorno questo mare offre un’acqua freschissima e trasparente, dove tuffarsi e rituffarsi infinite volte, nuotando a gara coi gabbiani. Se si guarda la cartina di Marsiglia si vede che il mare diventa subito profondo, blu scuro, percorso da correnti sotterranee. Forse perciò l’acqua è sempre così fredda, anche in agosto. Le spiagge sono tutte molto belle, pulite e frequentate. Strano pensare che non esistessero ma che sono state create artificialmente, strappandole al mare, solo poche decine di anni fa, insieme ai grandi prati che le separano dalla Corniche Kennedy. Anche i prati, nella bella stagione, pullulano di vita. I bambini si arrampicano sullo scheletro di un veliero, si lanciano a gran velocità dagli alti scivoli, si rincorrono o giocano a pallone. Un po’ più lontano c’è la Pointe Rouge con la sua finissima sabbia bianca. Ci si può sedere sotto un ombrellone, al tavolino di un caffè, e restarci a lungo a sorseggiare una bibita, prima di tuffarsi di nuovo. Non ci sono discese a mare da pagare, né stabilimenti o cabine che chiudano la vista dell’orizzonte. E’ tutto lì, all’aperto, a portata di mano, al libero utilizzo di tutti. E’ la democrazia del mare, di ciò che è di tutti e di cui tutti devono poter godere gratuitamente.

Alla confluenza di due strade importanti, l’Avenue du Prado e il boulevard Michelet – le Rond Point du Prado – si staglia una copia gigante del David di Michelangelo. Sempre da queste parti – non chiedetemi l’esatto indirizzo – un enorme pollice in bronzo al centro di una rotatoria ci avvisa che nei pressi si trova il MAC, Museo di Arte contemporanea, altro splendido luogo dove trascorrere ore al fresco, tra installazioni e grandi opere che rivelano la gioia dell’arte e la estrema libertà degli artisti contemporanei, tra cui lo stesso Cesar, artista marsigliese autore del pollicione.

Si può cercare il fresco anche nelle biblioteche cittadine, l’Alcazar o la Vieille Charité. Nel silenzio delle volte di questo edificio risalente al XVII secolo, destinato ad accogliere i mendicanti della città, poi i bambini abbandonati o orfani, e infine divenuto luogo d’onore della cultura cittadina, c’è il Centro di Poesia di Marsiglia, il luogo in cui viene conservata la produzione poetica di autori noti e meno noti. Una piccola galleria d’arte, anche. E’ un edificio che intimorisce per la sua architettura austera. Nel cortile interno una triplice serie di corridoi ad arcate si affaccia su una cappella; lì, in passato, gli ospiti poveri lavoravano per guadagnarsi il vitto; oggi, nell’ombra fresca, i tavolini di un piccolo caffè ci invitano a fare una pausa.

Una pausa prima di salire lungo la via des Petits Puits, che ci porta al centro del più antico quartiere di Marsiglia, Le Panier. Come in tutte le città, i quartieri più antichi sono sempre i più popolari. Il Panier è un piccolo labirinto di stradine che si aprono all’improvviso su piazzette silenziose dall’acciottolato rilucente sotto il sole. Qualcuno dice che bisogna fare attenzione alla borsa, ma in tante volte non mi è mai successo nulla. Dalle case escono parlate diverse, il francese si mescola con altre lingue sconosciute. Il Panier è forse il quartiere più multiculturale di Marsiglia. Scendendo dalla rue du Denier, una strada appesa e stretta, ci si ritrova, dopo qualche curva, sul Quai du Port, nel riverbero marino accecante del pomeriggio.

Da Quai du port un piccolo trenino si dirige verso il monumento simbolo di Marsiglia, Nôtre Dame de la Garde. L’imponente cattedrale, costruita nel ‘900 in un bizzarro stile neo-bizantino sui resti di una cappella del XIII secolo, è luogo di culto dei marinai e pescatori, e guarda la città dall’alto dei suoi 162 metri sul livello del mare. Ci si può arrivare anche a piedi dal centro della città (boulevard Vauban e poi Montée Nôtre Dame, diverse centinaia di scalini tagliati nel costone roccioso) attraverso un sentiero silvestre che ricorda gli antichi pellegrinaggi devozionali ormai perduti: è il Bosco Sacro, che abbraccia tutta la collina e sulle cui pendici rocciose e brulle sono stati piantati nel corso dei secoli pini di Aleppo, querce, cipressi, cedri ed olivi. Un viaggio iniziatico verso l’apice della città, che nei secoli è stato luogo di culto, di guardia e di fortezza. Dal suo belvedere lo sguardo abbraccia la metropoli, bianca e distesa nella luce. Non si può andare a Marsiglia senza salire sin lassù. Ci passa anche una tappa del tour de France.
Nel corso dell’ultimo viaggio ho trovato qualcosa di cambiato. La place aux Huiles, storico luogo dove un tempo si vendeva l’olio di oliva, è stata ristrutturata. Immensi vasi di coccio ne riempiono lo spazio, più alti me, e, dentro ogni vaso, un ulivo, piccolo. Mi dà un’idea di solitudine. Penso che mai le radici dell’uno potranno incrociarsi con le radici dell’altro, come i piedi degli amanti nel letto, la notte. Provo tristezza per le piccole piante così lontane dal loro uso. Vago tra i vasi sotto la canicola di agosto, cercando inutilmente un po’ di sollievo. Anche qui, dove tutto sembra sempre uguale, qualcosa cambia.

Il vallon des Auffes è una specie di fiordo, un piccolo porto di pescatori sovrastato da un possente ponte in pietra a tre archivolti. Depositi di pesca, qualche bar, le piccole barche puntute per la pesca al minuto, incorniciate dalla roccia bianca. Il ponte di pietra è un pezzo della corniche Kennedy, la grande strada che costeggia il litorale marsigliese in direzione sud, verso le calanques. Un giorno un amico mi chiese dei luoghi che avevo visto e non visto. Come, mi dice, non sei stata al Vallon des Auffes. E’ assolutamente da vedere. Ci devi andare. Così ci sono andata.

E anche a Chateau d’If sono andata così, per caso, seguendo le tracce del conte di Montecristo, il mitico personaggio di Dumas. Per inciso, il conte di Montecristo era uno dei miti di mia madre (da qualche parte devono provenire certe fissazioni).
Chateau d’If fa parte delle Frijoul, l’arcipelago a 4 chilometri dal porto. E’ un isolotto spoglio e brullo, su cui si erge una prigione, tozza e severa. L’isola è abitata solo da gabbiani e dagli occasionali visitatori. Immagino che il custode della torre la sera prenda l’ultimo traghetto e se torni a casa, nel caos della città, per non restare ad ascoltare i gridi dei gabbiani e il sibilo del vento tra i pini che le danno il nome.

Da Chateau d’If il battello dirige verso le altre due isole, collegate fra loro da un ponte. Si sbarca a Port Frioul e si prende un trenino che va dall’altro lato dell’isola, quello che guarda verso l’Italia, attraverso il paesaggio lunare delle rocce bianche scolpite dal mistral. Si Scende a una piccola spiaggia per una bagnade. Le ore trascorrono nel sibilo del vento, prima che il battello ci rivomiti nel tumulto rovente della città.

Il mistral è uno degli elementi che caratterizzano e determinano la vita di Marsiglia. Gli antichi lo chiamavano il vento nero, per il suo potere di distruggere la vegetazione, alimentare incendi, gelare le ossa e spaccare le labbra nelle notti (e nei giorni) d’inverno. Un vento insopportabile che ti prende alle spalle e ti spinge, quasi ti sbatte contro gli altri passanti o contro le porte dei bar, costringendoti a entrare per trovare un rifugio momentaneo. Ma è anche il vento che pulisce il cielo dalla cappa di umidità e dalle nuvole, rendendo l’aria così pura e trasparente da dare alla luce una qualità particolare. Per inseguire questa luce e il suo incanto, per provare a dipingerla, moltissimi pittori, paesaggisti e non, sono giunti sulle coste della Provenza: Cezanne, Van Gogh, Derain, Braque, altri meno famosi, tutto il gruppo dei Fauves dimorarono all’Estaque (l’attracco), un altro piccolo porto di Marsiglia situato a nord-ovest, trasformandolo in un quartiere di artisti e dando vita al nuovo stile pittorico del paesaggio moderno.

Dall’Estaque, per un sentiero stretto e sinuoso su per la montagna, si può raggiungere (ma non l’ho mai fatto) la cappella di Nôtre Dame de la Galline. Si trova all’estremo nord est del Comune di Marsiglia, sull’antica strada che la collegava all’Etang de Berre attraverso la piccola catena della Nerthe. Restano solo poche case di quella che fu la parrocchia dell’antico villaggio. Nei pressi ci sono anche le vestigia dello château de l’Air, avamposto a guardia dei confini della città. La madonna delle Galline di Marsiglia ha una storia simile a quella di Pagani: delle galline, raspando il terreno, portarono alla luce una statua della Vergine, e in quel luogo nacque un santuario. Ma il pellegrinaggio avviene l’otto settembre, e non ci sono canti e balli tradizionali.
Ho scoperto che chiffon, termine mitico della mia adolescenza per indicare una stoffa di seta crespa, o di crespo in seta, in francese significa anche pezza, straccio. Perciò lo chiffonier d’Emmaus non è il venditore di sete ma il pezzaro, e Emmaus è un topos religioso localizzato verso la Pointe Rouge a Marseille. Non è un mercatino dell’usato qualsiasi, ma una forma di solidarietà con i più poveri inventato dall’Abbé Pierre diversi decenni or sono. Chi ha cose che non usa più può portarle là, e i compagnons d’Emmaus li sistemano e li vendono. Il ricavato va alle persone bisognose, ma già acquistare mobili, oggetti, libri a prezzi davvero stracciati è una forma di aiuto a chi non ha. Metri e metri di capannoni, mobili antichi o solo vecchi, giochi di tanto tempo fa, abiti, borse, lampade… Davvero un paradiso per i pezzari come me.

Ho scritto troppo, eppure ho scritto troppo poco. Mancano tanti all’appello. Mi rendo conto che in tutti questi anni non ho mai visitato i Docks della Joliette, né la cattedrale della Major, e non ho ancora visto il Museo del Mediterraneo, costruito nel 2013 quando Marsiglia è stata capitale europea della cultura. Una visita fugace al Palais Longchamp e ai suoi giardini nel corso di un concerto; rapidi passaggi per la Plaine, quartiere popolare e vivace; un tuffo notturno nei quartieri Nord per uno spettacolo al teatro du Merlan; una sosta a pranzo da Peròn, il miglior ristorante di Marsiglia per la bouillabaisse, arroccato su uno scogliera della corniche Kennedy, con vista sulle acque azzurre e profonde…

E non ho parlato del cibo, della boullabaisse, appunto, della soupe de poisson, della soupe au pistou, delle cucine etniche che si trovano ad ogni angolo di strada, dei merguez, della choucroute, dell’aïoli, della chêvre chaude, del pain bagnat, della ratatouille, dell’anchoïade, del taboulé, delle quiches, delle navettes, dei pain chocolat…
Non ho parlato delle persone che ho incontrato, dell’allegria, delle risate, della poesia di Marsiglia.  Non ho ancora letto la trilogia di Jean Claude Izzo.

“…Nella sua mente fu un cielo azzurro. Un cielo da mistral. Pensò all’amore. A quello che era stato l’amore. Al piacere di amare. Alla tenerezza dei giorni. Alla delicatezza degli attimi. A tutto quello che voleva dire la felicità condivisa. A quella leggerezza sempre necessaria, indispensabile, delle parole, dei gesti, dei pensieri.”
(Jean Claude Izzo, Il sole dei morenti)

Viaggi – Marsiglia à jamaisultima modifica: 2017-07-26T12:20:25+02:00da bibliosaura
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