Viaggi di un giorno. Cronaca di un capodanno

E veniamo ora a parlare del Capodanno. Già il suo nome reca un inganno. Puoi leggere capo d’anno (inizio di anno) ed è la lettura ortodossa, canonica, quella a cui siamo abituati. Ma lo possiamo leggere anche in altro modo, sopprimendo l’apostrofo, e allora avremo Capo Danno, inizio del danno. Insomma non siamo messi bene con questo nome. L’inganno non è da poco. E poi, questo povero anno incolpevole martirizzato e scacciato via in malo modo… tutti a gridare buon anno nuovo, come se il vecchio avesse fatto schifo, mancato al suo dovere, ci avesse portato solo dolore e malanni in quantità.  Ma è davvero così? MI pare che dobbiamo sempre sperare in qualcosa per andare avanti nella vita… Basta, non ne posso più di questi fittizi festeggiamenti, di questa paura del buio e della fine. Qualcosa finisce definitivamente quando finisce davvero, quando non potremo più averla… una persona, una casa, un lavoro… ma gli anni, il tempo cosa sono? Idee, concetti, qualcosa di astratto senza fisicità. Il giorno dopo il capodanno il mio letto è sempre lo stesso, e così la mia scrivania, le carte accumulate, etc etc. Cosa è che cambia allora, dov’è il cambiamento?

 

E’ tutta la vita che tento di sfuggire al Capodanno e quest’anno ci sono riuscita, almeno in parte. Dopo molti tentennamenti ho accettato l’invito di un’amica che ha appena terminato un piccola casa in campagna e voleva inaugurarla.

Da premettere che i due giorni precedenti al San Silvestro sono stati gelidi e bui, con un vento siberiano, e noi abitanti del sud è sembrato che il profondo inverno ci avesse inghiottiti. In realtà siamo riemersi dal freddo dopo solo due giorni, con una giornata paradisiaca. Mi veniva in mente una canzone che si cantava dietro le processioni quando ero bambina: “giorno di paradiso, tutto è un sorriso…” Un enorme sorriso della natura per rassicurarci, noi poveri abitanti del sud, che tanto il maltempo dura poco tempo.

Allora via in auto ancora più a sud, direzione Galdo, lungo la via del mare, e sembra un viaggio di primavera più che un capodanno.

Lo splendore dei mesi invernali: l’aria pura e trasparente lascia passare una luce carica, senza filtri. Dal finestrino aperto un vento freddo ma non gelido. Sembra di partire per le vacanze e non per celebrare una fine e un principio.

Sosta d’obbligo a Ripe Rosse, a fotografare il luccichio del mare, la linea dell’orizzonte, e poi di nuovo su per la strada che si inerpica lungo la montagna.

Lasciata la macchina a un parcheggio si continua a piedi fino alla casa dell’amica, lungo il sentiero un po’ dissestato che si snoda nella campagna solitaria. L’erba è verde, le vigne nude, i bordi del sentiero costellati di margherite e di calendule, di finocchietto bruciato dall’inverno. Mi sento un viaggiatore dell’Ottocento, con i bagagli, la cesta dei viveri, tamburelli e cose varie. Il percorso a piedi nella luce accecante di questo giorno d’inverno segna uno stacco ancora più netto con l’idea del capodanno tradizionale. Lontano dalla strada tracciata, dal rumore, dai botti e dagli spari che sempre accompagnano la fine dell’anno, si va verso una casa nuova, una cosa nuova, a incontrare persone sconosciute.

La casa in pietra su un costone della collina risuona delle campanelle votive tibetane tintinnanti al vento. E’ in pieno sole, un tiepido sole pomeridiano che invita a non entrare ancora, a gironzolare un poco per la campagna. Giusto il tempo delle presentazioni con gli altri ospiti e esco a cercare cicoria. Mi accompagna nel mio giro il gatto Merlino che salta, corre, ruzzola giù per il sentiero.

Ritorno che il tramonto colora la casa di una luce rossastra. Lo spazio tra la casa e il mare è vasto e trasparente. Il cielo è tutto un fiammeggiare di rossi, viola, aranci. Da tempo mi sembra che il tramonto sia una delle poche cose ancora degne di essere fotografate. La visione di un pianeta che scompare ai nostri occhi per ricomparire dopo un certo numero di ore… per quanti ne abbiamo visti, il mistero e lo stupore permane. Siamo lì a ruotare nello spazio, trattenuti al suolo dalla sola forza di gravità. E il tramonto ogni giorno ci ricorda questo (in)stabile equilibrio della nostra vita, che di solito non percepiamo. E, in giornate come queste, ce lo ricorda per circa 45 minuti.

Poi il buio scende e entriamo in casa dove c’è una bella stufa accesa.

Qualcuno propone una preghiera in meditazione. Io mi sento molto lieve oggi e accetto con piacere di sperimentare una cosa che non ho mai fatto.  Sono aperta e pronta ad accogliere tutto quanto di nuovo mi può venire.

Così meditiamo, e preghiamo, e cantiamo, alla luce della stufa.

In serata la tavola scintillante dei capodanni: calici, vino, cibi buoni. Arrivano altre persone e portano del baccalà in pastella. Mancava il tocco della frittura e del pesce alla tavola della festa. Mangiamo, beviamo. Gli amici sparano i botti: alla fine non sono riuscita a evitarli. Dopo i botti, facciamo un cerchio di danza francese.

E così, ballando, trascorre la prima parte della notte, la prime ore del primo giorno del primo mese….

Sono serena. Ma mi manca quel sottile spasimo di tristezza che ho sempre provato in questa notte. Per la prima volta sono presente con tutta me stessa eppure quella tristezza mi manca già, insieme a tutte le persone che mi mancano.

Come si può provare nostalgia per la tristezza? Dopo averne provata tanta, forse qualcosa rimane, un sedimento, una memoria, il timore di non poter vivere senza.

Il fatto è che io conoscevo il significato della mia tristezza, la sua origine e la sua provenienza. Ma non conosco il significato di questa pace, essendone per la prima volta venuta in contatto.

Ho saltato il primo dell’anno. Questa è la verità.

 

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Viaggi di un giorno. Cronaca di un capodannoultima modifica: 2017-01-14T17:34:10+01:00da bibliosaura
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