Viaggi di un giorno. Porquerolles

tramonto6Questo è un viaggio e allo stesso tempo un racconto. Il racconto di un viaggio di tanto tempo fa, in cui si sono insinuati, quasi prepotentemente, dei personaggi. Ricordo il vento, il profumo dei pini, del mare, la coppia di innamorati sul traghetto. E come la storia ha preso forma mentre tornavo a casa.

“Quel mattino Angèle sentiva una piccola gioia fiorirle nel petto, di tanto in tanto. Non c’era niente di eccezionale, solo la gita che stava per iniziare, ma bastava a farla sentire felice come sempre al momento di partire, anche solo per un giorno. Lo spostamento nello spazio, il paesaggio mutevole e quasi cancellato dalla velocità, il vento, il sole, la pioggia… tutti questi elementi creavano nel suo animo una sorta di ebbrezza capace di calmare la sua perenne agitazione. Patrick si preparava lentamente, con la sua solita flemma, e questo le procurava soprassalti di nervosismo, ma era tutto sotto controllo. Non voleva rovinare la giornata appena iniziata così bene con uno scatto d’ira, con recriminazioni capaci di incrinare il sottile involucro di allegria che quella mattina sembrava avvolgerli e isolarli dal resto del mondo. Un piacere dimenticato. Lo accoglieva dentro di sé come un gattino trovatello, cercava di non spaventarlo, di non farlo fuggire via. Sapeva che bastava poco a rovinare tutto.

Stavano andando a Porquerolles, lei e Patrick, da soli, come un tempo. La giornata fuori risplendeva come un mattino di Pasqua. Si scoprì a cantare a squarciagola dentro di sé la canzone di Jacques Brel:
Un île, un île au large de l’espoir, un île, où les hommes n’auraient pas peur et douce et calme comme ton miroir, une île claire comme un matin de Pâques…. e une sirene a chaque vague, non riusciva ancora a spiegarsi come aveva fatto a convincerlo a venire, erano anni ormai che Patrick se ne stava lontano, vicino eppure distante completamente dalla sua vita. Lei partiva, tornava, andava e veniva ormai da tempo senza di lui. Aveva cercato di farsene una ragione, ma l’assenza le bruciava nel cuore come un’offesa quotidiana, continua, insanabile. Continuava a proporgli di accompagnarla, e lui continuava a rispondere di no, che preferiva restarsene a casa. Sempre più raramente accadeva che dicesse di sì. Come in questo caso. Allora lei si sentiva felice, come una ragazzina al primo amore nonostante le rughe e i capelli bianchi che le striavano il biondo dei capelli. Riprovava le emozioni dei primi tempi, folgoranti e appassionate, per ricadere subito dopo nel silenzio del quotidiano.

Angèle aveva mille domande che le premevano, ma non riusciva a porle. Perché non sperava davvero di poter avere una risposta. Allora si diceva che in macchina ci avrebbe provato, a parlargli, ma poi, una volta partiti, si ricordò che lui odiava le discussioni in quei momenti in cui era concentrato nella guida, e così giocherellò un po’ con i canali della radio, finché la canzone di Jacques Brel non sgorgò tra scariche e scoppiettii, limpida e chiara, e le sembrò un buon segno, come se il mondo si alleasse con lei e col suo tentativo di ritrovare Patrick, non quello che le sedeva silenzioso e assorto accanto, ma l’altro, quello conosciuto tanti anni prima, quello che aveva sposato e con cui aveva fatto due figli, e che sembrava definitivamente sparito dietro un velo di silenzio. Guardava il suo profilo assorto stagliarsi sulla fuga della strada, e pensava che sarebbe stato possibile, sicuramente, ritrovarsi.

Arrivarono al porto che la prima nave era già partita – la solita flemma di Patrick, pensò, ma si trattenne dal dirlo – e si sedettero a un caffè ad aspettare la successiva, parlando del più e del meno, commentando le notizie del giornale. Il mare era un po’ mosso e per un momento temette di dover rinunciare alla sua gita, ma alla fine il comandante chiamò per l’imbarco e salirono la scaletta insieme agli altri viaggiatori. Il traghetto rollava un po’, ondeggiava, ma lei volle lo stesso andare a sedersi sul ponte scoperto. Di tanto in tanto spruzzi di schiuma li raggiungevano, bagnandogli il volto e i capelli. Per fortuna che aveva portato due kway. Stavano seduti in un angolo tra una scialuppa e la paratia, e lei si spingeva contro di lui alla ricerca di una vecchia tenerezza che non trovava più corrispondenza nelle loro azioni di tutti i giorni. Possibile che si possano disimparare i sentimenti? Cosa fa sì che i gesti un tempo semplici e normali – sfiorare una mano, dare un bacio, stringersi le dita – diventino così estranei da farsi imbarazzanti? Come può succedere, e soprattutto, qual è il momento in cui comincia ad avvenire? Chi è il primo a cominciare a provare pudore verso i gesti dell’amore? Angèle era sicura che tutto fosse partito da Patrick. Non poteva essere stata lei, altrimenti non proverebbe un tale struggimento per quelle tenerezze perdute, un tale desiderio di riaverle intatte come all’inizio, non frutto di una richiesta che non riusciva neppure a formulare, di discussioni, con la loro patina di finzione.

La frase le urgeva alla gola, e le uscì quasi contro la sua stessa volontà.

– Mi ami sempre?

Un soffio di vento più forte si prese le parole e le portò lontano, verso altre orecchie.
– Cosa hai detto? Le chiese Patrick.

– Nulla, rispose lei. Non si può parlare, il vento è troppo forte. E provò sollievo che lui non avesse capito. Non erano certo quelle le parole giuste. Chiedere una conferma equivale a mettere in dubbio, e Patrick aveva sempre odiato queste cose.
Cercò disperatamente parole diverse. Ma non glie ne venivano.
L’isola si faceva sempre più vicina, nel vento che spostava cumuli di nuvole bianche: era tutta verde, con bianchissime insenature lambite dalle onde. Si vedeva la costa, tutta verde… Il sole filtrava a sprazzi da questo sipario.

Desiderò che lui la baciasse, d’improvviso, in mezzo alla gente. Questo avveniva, tanto tempo fa.

– Dovrei smetterla di pensare a tanto tempo fa, ormai non esiste più. Oppure dovrei prendere io l’iniziativa…

Fece un gesto con la mano, come per una carezza, ma un rollio più forte la allontanò da lui – di solito nei film avviene il contrario, pensò, grazie a un evento esterno gli amanti si trovano vicinissimi e lì scatta la calamita – e si dovette aggrappare a una paratia.

– Si balla, disse lui con un abbozzo di sorriso, ma lei sapeva che dentro di sé la odiava, perché non sopportava troppo il mare agitato.

Attraccarono un’ora dopo nel porticciolo, e dopo aver bevuto qualcosa al bar della piazzetta decisero di noleggiare delle biciclette per girare nella grande pineta che si stende per sette chilometri oltre il piccolo centro abitato.
La bici non permetteva certo un dialogo continuo, ma era una sensazione esaltante avanzare tra gli alberi altissimi sotto i quali non filtravano che pochi raggi di sole. L’odore di resina della pineta le arrivava a buffi, portato dal vento, e le dava una sorta di ebbrezza. Le piaceva molto quell’odore, e più volte aveva pensato che avesse potere curativo contro la tristezza e le maree basse, e che bisognasse riempire le strade delle città con i pini per far godere tutti gli abitanti di questo senso di benessere. Certo, doveva fare attenzione alle radici che sporgevano dal terreno battuto e agli altri ciclisti che la superavano scampanellando – lei non era troppo brava in bici, Patrick si fermava di tanto in tanto ad aspettarla – lei pedalava e pensava alle parole con cui penetrare nel suo distacco, per arrivare di nuovo al suo cuore… poi, nel momento in cui lo raggiungeva, lui ripartiva.

Arrivarono al punto estremo, quello in cui la pineta finiva su un promontorio scosceso. Il vento, che non si era fatto troppo sentire sotto gli alberi della pineta, ricominciò a soffiare. Il mare, sotto di loro, ruggiva. Sembrava che il vento, scatenato, istigasse il mare a sfrenarsi anch’esso in una gara di furore. Onde schiumose si abbattevano con boati sotto di loro. La risacca faceva un rumore ancora più assordante.
– L’unico modo per non sentire il vento è schiacciarsi al suolo, disse Patrick tirando fuori dallo zainetto una stuoia ripiegata in quattro. A fatica riuscirono a stenderla, perché il vento la tirava via non appena ne lasciavano un angolo, distendendosi loro stessi sopra, e davvero così in basso il vento non li tormentava.
«Abbracciami» pensò Angèle, «ti prego, abbracciami».

Lui allungò la mano a prendere lo zainetto, tirò fuori i panini che lei aveva preparato.
– Hai fame?
– Si, disse lei. Scartocciò il suo panino dalla carta argentata e cominciò a sbocconcellarlo lentamente.

Patrick divorò il suo in due bocconi e poi si appiattì al suolo, gli occhi chiusi.

«Chissà quali pensieri nasconde» pensò Angèle stendendosi anche lei. Il vento soffiava sopra di loro, ma le sfiorava appena la punta del naso.

– Dove sei, disse ad alta voce, quasi a se stessa.
– Cosa? Chiese Patrick senza girarsi.
– Nulla, disse Angèle, è il vento.
«Mi ascolterai ancora?» Pensò Angèle. «non credo. Il momento delle parole che si incrociano è passato. Da oggi, io per me, tu per te».
Faceva sempre così quando alla tenerezza subentrava la rabbia.
– Andiamo, disse dopo un po’. Ho la testa piena di vento.
Così ripresero le bici e rifecero la strada in senso contrario, tra lo sciame di altri ciclisti e pedoni che si affrettavano al battello di ritorno. Il paesaggio scorreva intorno a loro, verde, azzurro, giallo, bianco, verde, giallo, azzurro….
A place des Armes si era raccolta già una piccola folla di turisti in attesa dell’ultimo traghetto. Restituirono le bici al noleggio, e Patrick pagò con la carta di credito, poi sedettero di nuovo al bar in attesa. Il mare era ancora in tumulto, il capitano pregò un paio di volte i passeggeri di aspettare, poi finalmente la scaletta fu calata, e salirono. Il traghetto ondeggiava, ma molti, come lei, restarono seduti fuori sul ponte, e Patrick anche, seppur contrariato, a bagnarsi alle ondate che colpivano le paratie e a respirare l’odore di mare. Per una sua vecchia abitudine lei cominciò ad osservare i suoi compagni di viaggio – un’abitudine che Patrick mal giudicava – e l’attenzione si fermò su due uomini, giovani, vicinissimi, innamorati. Da dietro gli occhiali da sole Angèle divorava i loro gesti teneri, le parole bisbigliate all’orecchio, i piccoli baci di nascosto. Li guardò a lungo, in incognito, finché il capitano non venne fuori a chiedere a tutti di rientrare, perché le onde sarebbero aumentate. Patrick colse la palla al balzo e rientrò, tirandosela dietro riluttante. Angèle scelse un posto vicino alla vetrata di plexiglas che separava l’interno dall’esterno, per continuare a vedere le onde abbattersi sempre più forte sul ponte. Attraverso i vetri rigati e incrostati di salsedine vide i due giovani uomini abbracciati, al riparo tra la scialuppa e la paratia, col volto proteso verso l’acqua che li colpiva. Erano completamente bagnati ed estatici.

Avevano disobbedito al capitano, erano rimasti fuori, da soli, insieme alla potenza del mare.
Angèle sentì la potenza del mare andare verso il corpo dei ragazzi, sentì che quella forza era la stessa della passione che lì abitava, e perciò loro avevano il diritto di stare lì fuori nella tempesta, e lei no. Si girò verso Patrick con le lacrime agli occhi. Lui le spostò una ciocca bagnata dalla fronte, glie la tirò dietro l’orecchio. Col dito seguì il bordo del suo padiglione auricolare, come ad asciugarlo dall’acqua di mare. – Non aver paura, disse sorridendo. E’ tutto a posto. Siamo quasi arrivati.”

Viaggi di un giorno. Porquerollesultima modifica: 2019-03-30T10:20:20+01:00da bibliosaura
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