Viaggi e francobolli

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 Per molti anni il mio desiderio di viaggiare si è alimentato delle suggestioni provenienti  dalla collezione di francobolli di mio padre. All’inizio non si trattava di una collezione nel vero senso della parola: era piuttosto una massa informe di buste affrancate, reperti del  girovagare nel mondo (suo e dei suoi amici e conoscenti)  per lavoro. Una collezione dell’emigrazione. Anche mio papà è stato emigrante. Lui non ha mai avuto la pazienza né il tempo di sistemarle, così  un’estate della mia adolescenza – eravamo appena arrivati in una città nuova e non avevo nessun amico ancora – forse per pietà della mia noia lui mi ha messo in mano tutti i suoi francobolli. Così ho cominciato a occuparmene, con vaschette d’acqua, pinzetta e lente d’ingrandimento. C’erano moltissimi doppioni. Ne ho scelto uno di ognuno e li ho  sistemati in un album, suddivisi per paesi. Avrei potuto scegliere altri criteri: per argomento (fiori, ricorrenze, alberi, ritratti, quadri, etc etc.,) ma ho scelto di farlo per paesi. Ognuno nei propri confini con le proprie storie, date, ricorrenze, celebrazioni, ma a a stretto contatto con gli altri , in una geografia del tutto inventata da me.  Era incredibile quanta suggestione ci fosse in quei piccoli rettangoli dentellati che portavano nomi esotici: Trinidad e Tobago, El Salvador, Colombia, Messico, Venezuela, Panama, Ecuador, Argentina, Finisterre, Canadà (come si pronunciava allora), USA; Australia ..  e, più vicini, l’Ungheria, la Romania, la Francia, La Repubblica Helvetica, l’Inghilterra, il Belgio, l’Ellade…

Mi piacque tanto che cominciai anche io a cercare buste affrancate nelle soffitte di chiunque conservasse corrispondenze dell’emigrazione.  Piccoli frammenti di mondi e di storie continuavano a farmi sognare. Dopo il primo album ne riempii diversi altri,  fino a che altre cose della vita presero il sopravvento (mi feci degli amici, forse… 🙂 )

Ma gli album sono rimasti sempre lì, a tenermi compagnia. Ogni tanto li sfogliavo e osservavo le immagini alla lente d’ingrandimento. Qualcuno si era scolorito, qualcuno si era incollato, qualche dentino mancava, ma  erano sempre lì, coi loro confini più sicuri e pacifici che nella realtà.  Qualche decennio fa, poco dopo la caduta dell’Unione Sovietica, in un mercatino improvvisato ho fatto il mio colpo grosso, trovando un  intero album di pezzi non affrancati provenienti dalla ex CCCR. Anche per quei francobolli, come per i venditori, si trattava del primo viaggio fuori dei confini del loro grande paese. Così va il mondo. 

Ho ricevuto corrispondenza dalla Francia ,con tutte le serie di francobolli illustrati e indirizzi scritti in bella grafia.

La mia collezione è cresciuta nel tempo.

Ha un grande valore, ma solo per me. Il valore è sentimentale (proustianamente parlando) perciò, giunta all’età in cui mio padre me l’aveva data, l’ho a mia volta passata di mano, conservandone però l’usufrutto. Continuo a divertirmici. Ancora oggi cerco di accaparrarmi qualunque busta affrancata (tranne quelle della posta celere, che non possiedono alcun fascino).

Lo so, raccogliere francobolli è una passione d’altri tempi. Oggi nessuno lo fa più, solo i collezionisti veri. Comprano francobolli nuovi, che non hanno mai viaggiato, non portano timbri e sono ancora attaccati al loro foglietto madre, e vengono rinchiusi senza aver mai visto davvero il mondo, senza portare notizie dal mondo, neanche il più piccolo timbro tranne, a volte, un annullo speciale. Forse i francobolli si stampano ormai solo per questa categoria di collezionisti, avendo perso la loro funzione di un tempo: raramente scriviamo lettere o mandiamo cartoline da luoghi lontani, piuttosto foto in diretta tramite social.  

 

I miei francobolli  mi riportano indietro nel tempo, mi fanno venire voglia di giocare. Mi sembra che la loro bellezza non possa ridursi a stare nascosta in un album. Allora ne ho utilizzati alcuni  per delle creazioni di “poesia postale” come quella nell’immagine in alto a destra, del 1994, ma ripresa varie volte, fino all’ultima, 2006. 

U-topos @di Maria Teresa Schiavino