La sposa bianca, di Mariama Bâ.

photo mariama bâPoiché questo blog è nato come momento di riflessione sui libri e la lettura, e da questo intento ha preso anche il nome, Bibliosaura (vecchio animale che si nutre di  libri) finalmente oggi ho deciso di scrivere qualcosa su uno dei tanti libri letti in questi ultimi mesi. Sono quel che si dice una “lettrice forte”, ma proprio questa mia caratteristica mi impedisce di fermarmi dopo una lettura. Come bibliosaura recupero il mio cibo ovunque, in libreria, sulle bancarelle, raccolgo anche quel che gli altri buttano. Prendo strade che non sono segnalate da guide. Ultimamente ho comprato, da venditori ambulanti senegalesi, alcuni libri della casa editrice Giovane Africa edizioni. E ho fatto un incontro inaspettato: La sposa bianca,  di Mariama Bâ.

Il romanzo, ambientato nella Dakar degli ani dopo il 1968, racconta della storia d’amore tra un nero e una bianca, e del suo tragico epilogo. Non solo: racconta di uno scontro di mentalità, della lentezza con cui la mentalità cambia nonostante l’apparenza, della lunga strada che le donne hanno fatto per diventare individui e sfuggire a una sudditanza socialmente imposta.

L’autrice, con grande maestria, riesce a capovolgere lentamente  il paradigma cui siamo abituati dalla nostra cultura occidentale – il razzismo è quello dei bianchi nei confronti dei neri – calandoci all’interno della cultura senegalese e delle sue ataviche tradizioni, rigide spartizioni di ruoli, asimmetriche relazioni tra donne e uomini, per dimostrare la specularità dell’atteggiamento collettivo nei confronti dell’Altro.

A subire la violenza più atroce non è il Nero ma la Bianca, calata dentro una società che la rifiuta, la isola e alla fine drammaticamente la espelle. In questo contesto il ruolo dell’uomo, dello sposo nero, è determinante alla conclusione della storia: benché uomo di cultura, intellettuale, insegnante di filosofia, è completamente in balia del proprio gruppo sociale, e fondamentalmente convinto della giustezza dei suoi comportamenti. La cultura di cui si è servito per conquistare la donna gli cade di dosso come la pelle di un serpente per rivelarne il vero sé fatto di ipocrisia, di occultamenti, di silenzi. Mariama Bâ, che pure ha cosparso la prima parte del libro di piccoli indizi rivelatori dell’epilogo, mostra l’inutilità di una cultura fatta solo di conoscenza ma incapace di servire da strumento per valutare e cambiare il mondo. I personaggi che formano il coro di questo dramma africano sono anch’essi divisi in due gruppi, da un lato il gruppo familiare capeggiato dalla madre di lui, fortemente coeso e deciso a espellere l’intrusa tranne che per  un solo  elemento amichevole, e dall’altro pochi amici capaci di guardare con obiettività alla situazione ma impotenti a far cambiare idea all’uomo che nasconde, dietro i principi della Negritudine di cui si fa portavoce, un’aridità di sentimenti. Anche questo personaggio subisce una rotazione a 360°. La bontà e la gentilezza, il rispetto mostrati nella giovinezza verso la famiglia  non si rivelano sentimenti caratteriali, ma semplici  elementi di solidarietà col proprio gruppo d’origine, incapaci di innestarsi e far fruttificare una nuova famiglia e dunque una nuova società.  Lo sprofondare nella tradizione fa emergere dallo sfondo una società poverissima in cui le famiglie si appoggiano pesantemente,  per sopravvivere,  a chi ha conquistato una posizione, e in cui il denaro ricopre un ruolo sociale fondamentale. Al centro la figura della Bianca, sposata con rito civile e islamico, una donna colta  e sincera, fiduciosa e ignara dell’abisso in cui è scivolata. L’amore che porta al suo uomo non è sufficiente a spostare la montagna di differenza culturale che lui le ha celato, e che forse ha celato anche a se stesso.Le regole che cerca di far rispettare – pulizia, ordine domestico, rispetto per la donna e per la nuova coppia – diventano terreno di scontro e motivo di distanza crescente fra i due.  Non è questa violenza? Non violenza fisica, ma la sottile quotidiana negazione di quanto promesso, l’abbandono senza spiegazioni in un mondo sconosciuto e ostile, di cui non si riescono a decifrare le coordinate, ad opera di un uomo cui la donna si era affidata completamente, legata da affetto vero, di cui si era resa  dipendente andando da sola in un contesto completamente ignoto. La violenza qui è quella dell’intero gruppo contro un individuo isolato, ma è fortemente sottolineata l’incapacità dell’uomo di difendere la propria scelta, trovando più comodo regredire al passato, all’utero materno.

Erano gli anni ’70. Mariama ha raccontato la propria società dall’interno, non solo in questo ma anche in altri romanzi in cui descrive il proprio dolore di essere donna in quel mondo in cui la donna, più che altrove, contava meno di niente o trovava il proprio valore soltanto nell’essere scelta da un uomo. Oggi le cose sono forse cambiate se, come si legge in un vecchio articolo del corriere immigrazione del 2011 (http://www.corriereimmigrazione.it/ci/2011/03/quando-la-seconda-moglie-e-europea-e-immigrata-storie-di-quotidiano-senegal/) molte donne europee accettano di essere parte di un gruppo familiare allargato, di essere prima, seconda o terza moglie. Ma gli uomini che queste donne hanno sposato sono cambiati, in qualche modo: hanno smesso di mentire sul loro stato civile.

 

La sposa bianca, di Mariama Bâ.ultima modifica: 2014-10-07T17:05:49+02:00da bibliosaura
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