Frammenti di un’epopea suburbana, ovvero avventure di una pendolare

Questi frammenti sono vecchiotti, ormai le cose vanno un po’ meglio sui nostri autobus, che hanno persino cambiato nome. Ma la domanda fatidica: “Passerà? Non passerà? E’ già passato?” è sempre lì, ad ogni fermata e ogni attesa, in agguato.

29 settembre

Mi piace viaggiare in autobus. Ho usato l’auto per tutta la vita, ma adesso posso prendere la vita più lenta, e andare e tornare dal lavoro usando i mezzi pubblici. Prendere l’autobus infatti presuppone una certa flessibilità di orario, una assoluta assenza di ansia e tanto tempo a disposizione. Qui gli autobus passano quando vogliono, di solito. Così, sia nell’attesa che durante il viaggio, posso leggere, pensare, guardare.

Ho cominciato qualche anno fa, d’estate, a lasciare la macchina a casa per un mese, per dare il mio contributo all’ambiente. Poi ci ho preso gusto. Adesso sono una pendolare a tutti gli effetti.

1 marzo

La fermata in piazza è aritmetica, e preferisce le divisioni: se passa il 24, stai sicuro che subito dopo seguirà il 12, e poi, finalmente, il 6.

5 marzo

Oggi l’autobus è pieno di belle ragazze. Trabocca di vita. La loro bellezza è contagiosa e riempie di luce il vecchio mezzo catarroso che arranca sulla salita. Sarà l’orario, forse, perché spesso i miei compagni di viaggio sono persone vecchie e consumate. Alcune corse rasentano il tragico. Sembra il pullmino del ricovero per anziani abbandonati. Quando mi capita scendo di corsa, anche se sono ancora lontana da casa.

22 aprile

Stamattina. Un ragazzo, ventenne, è seduto, accanto a lui c’è un posto libero con sopra uno zaino. Sale una signora anziana e chiede di sedersi. Il ragazzo dice che ha occupato il posto per un’amica che deve salire più avanti.
-Da quando in qua si occupano i posti sull’autobus? chiede la signora, e il ragazzo, imperturbabile: – E’ la prassi.
Poi cala lo sguardo sullo smartphone ultima generazione e diventa completamente sordo ai rimbrotti e agli sguardi di disapprovazione di noialtri passeggeri. La signora resta in piedi, borbotta fra i denti, ci impedisce di chiamare l’autista. Neanche accetta di sedersi a un altro posto che qualcuno ha liberato per lei.  Qualche fermata più avanti sale una ragazza, il ragazzo la bacia appassionatamente poi si siedono tranquilli mano nella mano.  Mi viene da pensare che questo ragazzo si è liberato sia delle imposizioni negative della morale giudaico-cristiana (la quale vorrebbe il rispetto e la compassione per i più deboli) sia della cultura dei diritti legata al pensiero illuminista. E’ libero di fare le sue scelte solo in base al proprio interesse personale, e di sentirsene anche fiero. Farà certo molta strada.

29 aprile

Sto seduta come sempre sul sedile in posizione contraria alla corsa. Forse sono una delle poche persone che ama guardare quel che si lascia dietro e non quello che troverà davanti. Una forma di nostalgia, credo. Comunque, sono anche i posti che nessuno vuole, e spesso sono vuoti. Un po’ leggo, un po’ guardo fuori dal finestrino, un po’ scruto i miei compagni, anche per verificare che non ci sia qualcuno che scruti me. Adoro questo tempo morto. E’ una pausa vitale.

2 maggio

Sto imparando a conoscere i miei compagni di viaggio delle 7,30. C’è il vecchio pensionato che sale alla fermata prima della mia e scende dopo solo due, vicino al mercato. C’è la mamma giovanissima che lascia il bambino ancora mezzo addormentato alla nonna in attesa a una pensilina: prima che il bambino scenda lo riempie di baci; ci sono le due badanti che tornano a casa dopo la notte; le due signore delle pulizie sedute sempre allo stesso posto, che si raccontano la vita lungo il tragitto verso il lavoro; i fidanzatini che si mettono in fondo al bus, le gambe aggrovigliate, e l’anziano maleodorante che tutti i giorni a tutti i passeggeri chiede dei soldi per telefonare alla figlia perché gli hanno rubato il cellulare. C’è la vecchina che sale a piazza Prato con un carrello pieno di cianfrusaglie che cercherà di vendere in una strada del centro, e c’è qualcuno che la aiuta a tirarlo su e glie lo posiziona perché non cada. C’è quello della tirata contro il sindaco e quello che invece se la prende con gli extracomunitari che salgono alla stazione con i loro ingombranti borsoni. Ci sono io. Adesso ci salutiamo tutti. Potrebbe sembrare che la nostra vita sia tutta e sempre qui, in questo vecchio rottame ambulante.

8 maggio

– Scusi, posso? Mi chiede un signore né vecchio né giovane, un po’ come me insomma. Faccio spazio spostandomi verso il finestrino, il signore si siede.

– Non la disturbo, vedo che sta leggendo… Ma lei è una insegnante?

-No, rispondo io, non sono un’insegnante (chissà perché c’è quest’idea che solo gli insegnanti possano portare libri in autobus, oltre agli studenti i quali, naturalmente, non stanno lì a leggerli).

– Ah, e che lavoro fa?

Vorrei rispondergli – e a lei cosa importa? – Ma mi scappa detto – Io sono bibliotecaria.

  • Ah, fa lui, bibliotecaria… anche mia nipote lavora in una biblioteca.
  • Quale, faccio io cercando di essere gentile.
  • Quella che vende libri subito dopo la stazione….
  • Ma allora non è una biblioteca, è una libreria.
  • Ah??? Non è uguale?
  • No, per niente.                                                                                                            Ma oggi non ho voglia di parlare né di spiegare la differenza, e perciò calo di nuovo gli occhi sul libro.
  • E… Cosa sta leggendo?

1 giugno

La strada del ritorno costeggia il mare. Pomeriggio di primavera. Giornata luminosa. Il sole scende piano verso l’orizzonte, le ombre si allungano.  Il mare risplende e acceca.  La strada scorre sotto il mio sguardo con la lentezza del traffico urbano, avvolta nella calda luce del tardo pomeriggio. Passano sul marciapiede gruppi di ragazzi, degli stranieri bevono l’ultimo sole seduti sul muretto. Due indiani – un uomo e una donna – passano in bicicletta sulla pista ciclabile, i loro ampi abiti gonfi del vento della corsa. Il sari della donna è come una vela blu contro il cielo arancio. D’improvviso mi sembra di essere altrove, in uno spazio letterario popolato da un’umanità sospesa e non dolente, lievemente in viaggio verso chissà dove, e io stessa l’anonimo personaggio di un racconto.

6 giugno

Ho letto che in non so quale paese europeo usano la vecchie cabine telefoniche come piccole biblioteche pubbliche. Per la mia città credo che la soluzione più adatta all’incremento della lettura sarebbe quella di installare tali bibliotechine alle fermate degli autobus. Basterebbero pensiline chiuse, uno scaffale di letteratura, un altro di storia oppure tutta la serie delle edizioni mille lire. Libricini – i grandi potrebbero forse spaventare – da leggere nelle lunghe attese, per contrastare l’ansia di non vedere alcun bus apparire all’orizzonte. Le bibliotechine ci riparerebbero dalle intemperie, potrebbero, soprattutto la domenica, quando le corse sono sospese, diventare luoghi di incontro e di scambio.

24 giugno

Sto nettamente migliorando i mie tempi nella rincorsa all’autobus.

30 giugno

“E’ arrivata l’estate ed ecco che I cittadini di questa ridente città di mare i quali, per motivi economici o ecologici, abbiano deciso di abbandonare i mezzi privati e usare i mezzi pubblici, vengono duramente sanzionati. Lunghe mezze ore di attesa alle fermate, autobus che passano allegri e vuoti senza fermarsi (vanno al deposito), altri che arrivano stracarichi e lenti, che si fermano all’improvviso in quartieri sperduti – per guasti o per effettuare controlli dei biglietti da parte degli autisti – linee spezzate in tronconi, autobus soppressi in alcuni orari senza alcun preavviso, altri che ricompaiono in orari improbabili la domenica, e molto ancora. L’azienda di trasporti ha deciso di punire in questo modo gli sprovveduti che ancora resistono coi loro abbonamenti. Si preannunciano ulteriori inasprimenti delle pene nei prossimi mesi di luglio e agosto. Alle fermate si formano piccoli gruppi di resistenza, ma vengono rapidamente sgominati dal caldo e dalla stanchezza. Comunque qui c’è il mare.”

7 luglio

  • Sa, io ho l’abbonamento gratuito, perché sono anziano. Questo è già il terzo viaggio che faccio oggi.
  • Davvero? gli chiedo. – E come mai? (E’ la corsa delle otto).
  • Beh sa, stamattina alle 6 sono uscito per andare al cimitero, ho preso prima il 6 fino alla stazione e poi l’11, poi sono tornato sempre con l’11 che era rimasto al capolinea ad aspettarmi e sono uscito di nuovo, ho ripreso il 6 e sono andato al porto, e adesso vado di nuovo in centro e poi ritorno. Mi fa ben sei corse. Quando torno più tardi compro il giornale così oggi pomeriggio mi metto in poltrona a leggere.
  • – Ma perché esce così presto? Non può dormire?
  • No, macché, io dormirei pure, è mia moglie che si sveglia all’alba per fare le faccende. Non mi vuole tra i piedi fino alle dodici, dice che la impiccio, che sto sempre in mezzo e sporco dove lei ha appena pulito… Meno male che ci sono i bus.
  • Tutti i giorni?
  • Tutti i giorni.
  • E quando piove?
  • E’ uguale.

 

10 luglio

L’autista urla al cellulare con la fidanzata (credo). Brutta storia, litigio violento. Brusca frenata, tutti precipitiamo in avanti. Peccato sia protetto dal gabbiotto, altrimenti lo avremmo sommerso col nostro abbraccio.

13 luglio

Un’auto inchioda proprio davanti all’autobus. Frenata violenta, tutti siamo proiettati in avanti. Ma non c’è stata collisione: ci sistemiamo un po’, ammaccati ma con un sospiro di sollievo.

 

23 luglio

  • Passerà? E’ già passato?
  • A quest’ora dovrebbe essere passato da qualche minuto, ma guardi un po’, li l’altra fermata è piena di gente, non sarà ancora passato.
  • Io lo so che non mi devo fermare qui ad aspettare, perché lo faccio sempre? In piazza c’è più transito…
  • Mah, forse è in ritardo, c’è traffico…
  • Ma se non c’è nessuno per strada (sono le 7,30 di una splendida mattina d’estate.)
  • Non devo innervosirmi. Il medico mi ha detto che non devo innervosirmi. Non passa? Che importa! Farò tardi al lavoro! Che importa! Cazzo, ma perché non passa?

La pensilina comincia a diventare molto affollata: ai viaggiatori delle sette e trenta si aggiungono quelli delle otto. Intanto Quelli dell’altra fermata si avvicinano, in processione, alla nostra.

Sono le otto e cinque e nessun autobus rosso all’orizzonte.

  • Ma sarà sciopero? E chi lo sa? Non ho sentito nulla alla tv.
  • No, neanche il giornale diceva nulla.
  • Le scuole sono chiuse e gli autobus hanno smesso di camminare.

8,15.

  • Ma che facciamo qui, è quasi un’ora… andiamo in piazza, dai.

Ci avviamo tutti in processione, attraversiamo la strada, i giardini, passiamo sotto al ponticello della ferrovia, tagliamo per il quartiere Zevi e finalmente arriviamo alla piazza. La fermata è stracolma di gente.

  • Non passano da più di un’ora…

Un 11 all’orizzonte. Quasi ci buttiamo in mezzo alla strada, a rischio di farci investire dalle auto. L’11 si allarga dall’altro lato con un movimento elegante e tira via senza fermarsi. E’ stracolmo di gente schiacciata contro le porte. Sono ormai le 9,15 e siamo tutti esasperati. Non passano neanche i bus per l’università.

Che fare? (Un famoso interrogativo che tanto ha segnato i destini del mondo…)

Un taxi bianco all’orizzonte. Si ferma davanti alla massa mobile. Ci buttiamo all’arrembaggio, io mi infilo davanti accanto al conducente, altre tre signore si lanciano sui sedili posteriori, chiudiamo gli sportelli mentre qualcuno insiste per salire e via, il taxi sgomma lasciandosi alle spalle l’umanità brulicante e inferocita della fermata. Via verso l’agognato lavoro, anche se sono ormai le 9 e 30.

Sul giornale del giorno dopo: “Ieri tutti i mezzi del Consorzio trasporti in officina per riparazioni”.

 

1 settembre

  • Signora, non ha timbrato il biglietto.

Il controllore vestito di blu è molto compreso nel suo ruolo. Di solito si vede in giro i primi del mese, per il controllo degli abbonamenti.

La signora in questione è carica di borse e si regge a stento all’apposito altissimo sostegno.

  • Si che l’ho timbrato, dice la signora.
  • Ma qui non c’è nulla.
  • E che ne so, dice la signora, forse non ci sarà inchiostro nella macchinetta.
  • Ma lei è tenuta a controllare se la stampa risulti o meno sul biglietto.
  • Ah, si dice la signora, e secondo lei come facevo a tenere le borse, mantenermi per non cadere e controllare anche il biglietto? Provi a timbrarlo di nuovo e vedrà che non lo prende.
  • Ma potrebbe essere un biglietto vecchio che lei usa per imbrogliare.
  • Ma come si permette? Io sono una persona perbene.
  • Signora, devo farle la multa.
  • Non ci pensi proprio.
  • Mi dia la sia carta d’identità.
  • Ma vada a quel paese!
  • E’ oltraggio a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni!
  • Ma che dice, io il biglietto l’ho timbrato.

Una voce dalla prua dell’autobus:

  • E’ vero, l’ha timbrato, l’ho vista io.
  • E non lo poteva dire prima.
  • Volevo vedere come andava a finire. E comunque anche il mio biglietto è privo di stampigliatura.
  • Anche il mio! Anche il mio!

Controllo il mio biglietto e neanche lì c’è la stampigliatura.

  • Ma mettete almeno l’inchiostro nelle macchinette, vi manca pure l’inchiostro? State proprio inguaiati!

Il controllore scende alla fermata successiva senza portare a termine il controllo dei biglietti.

10 settembre

L‘autista ferma il mezzo in una landa desolata e si avvicina a un uomo seduto sul sediolino vicino alla porta. L’uomo è evidentemente un barbone

  • Biglietto, prego.
  • Non ce l’ho.
  • Allora scendi.
  • Ma ci sono ancora cinque fermate per la mensa.
  • E te la fai a piedi.
  • Io non scendo.
  • E io chiamo i carabinieri.

Una voce dal fondo:

  • Glie lo do io il biglietto, basta che ci muoviamo!

Va alla macchinetta, convalida un biglietto e lo mette nelle mani del barbone.

  • Tie’, e buon appetito.

L’autista diventa paonazzo, ritorna al posto di guida e riparte.

 

25 settembre

Sono sull’autobus del ritorno a casa. La strada è avvolta dalla luce meridiana, che rende tutto più caldo, più profondo. Sulla destra il mare, scintillante e radioso.  Qualche bici sfreccia sulla pista ciclabile, gruppi di donne dell’est prendono il sole sui muretti e sulla spiaggia, vecchi signori ronzano loro intorno come mosche sul miele. E’ giovedì, il pomeriggio libero delle badanti.

L’autobus rallenta, tossisce e si ferma proprio vicino alla nuova gittata di scogli che si spinge a mare per diverse centinaia di metri. Penso che da tempo mi propongo di farci una passeggiata e non lo faccio mai. L’autista cerca inutilmente di rimettere il mezzo in moto, ma senza riuscirci.

  • Signori, dovete scendere! L’autobus si è rotto.

Sbuffi di malumore, grida, (ladri, assassini, ma non si può fare così), i viaggiatori scendono dal bus.

  • Non preoccupatevi, dice l’autista, salite sul prossimo senza preoccuparvi del biglietto.
  • Ci mancherebbe, grida qualcuno inferocito.

Che fare? Aspettare anche io come gli altri che passi un altro mezzo per riportarmi a casa?

Sbircio per vedere se arriva qualcosa. Nulla. Abbandono i miei compagni di viaggio e mi avvio tutta contenta verso il moletto nuovo, verso il sole che scende dolcemente sull’orizzonte, mescolandomi alla folla allegra e musicale del giovedì delle badanti.

30 settembre

Mente corro verso la piazza vedo l’autobus arrivare. Sono ancora a una certa distanza, ma con uno sprint finale mi lancio verso la fermata e mi aggrappo al volo al corrimano della porta centrale. L’autobus parte e io continuo a saltellargli dietro, sempre aggrappata, ma incapace di montare.Mentre penso, terrorizzata,” questa è la volta buona che finisco in ospedale” due mani mi afferrano dall’interno dell’autobus e mi tirano su di peso, mentre le porte automatiche si chiudono alle mie spalle con un rumore da thriller. Sono schiacciata contro il petto di un viaggiatore, i miei occhi terrorizzati dentro i suoi occhi azzurri divertiti. Grazie, gli dico con un filo di voce.  Lui mi risponde in una lingua sconosciuta, mi trattiene ancora un istante e poi mi lascia andare.

Frammenti di un’epopea suburbana, ovvero avventure di una pendolareultima modifica: 2017-05-16T14:59:44+02:00da bibliosaura
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