ELEGIA

Tante parole dette
Tante parole scritte
Poi penso all’urna grigia
Con le tue scarne spoglie.

Il cuore è diventato un deserto
Su cui di rado
La pioggia cade.

Ora la aspettiamo da giorni –
Annusando l’aria che sa solo
Di sale, di olio di motori, di verdure
Marce nei bidoni dell’umido,
Di profumi a buon mercato,
Di gas di scarico –
La aspettiamo
– Le orecchie spalancate
Cariche di rumori
Violenti –
Perché ci salvi dalla sete, dall’arsura,
Ci salvi dal rumore col suo ticchettio sommesso
Che acquieta e nasconde il fragore della città
Ci porti a danzare nella tempesta col suo scrosciare violento,
Ci salvi dalla bruttezza coi suoi fiori di un giorno.

(È sbagliato desiderare La bellezza,
Circoscriverla a un mondo minuscolo
Che da solo deve ticchettare
Mentre fuori tutto è naufragio?)

Il vento
Gioca a nascondino
Tra i rami del cipresso.
Una piccola brezza sale da sud
Carica di promesse.
Il cielo si copre di cirri
Che veloci si spostano
Verso nord.
L’ombra del vento in fuga
Sulla terra arsa.
Sollievo di un istante.

Immagino
Il suono della pioggia sulla tua urna grigia,
Un tocco lieve, un piccolo la
una monotona melodia
Ripetuta all’infinito
Che lava via la polvere in tanti rivoli chiari
Finché l’urna riluce
Sotto il cielo grigiastro.

Perché il cuore è diventato
Tanto secco?

Si è prosciugato insieme alla città,
affogato nel cemento,
Reso insensibile dal rumore assordante
E dal ricordo di qualcosa che era
O che avrebbe dovuto divenire.
Ma il divenire è soltanto
Un eterno presente
Che non cambia.

In che punto
La trasformazione
Dovrebbe avvenire?
O essa avviene
In così tanti punti
Da diventare impercettibile?

Fuori di qui è tutto un naufragio.

Forse il deserto è stato sempre lì, in agguato
Nella sabbia che tanto amavano, al confine col mare.
Di solito è il mare a mangiare la sabbia, selvaggio, delirante,
Famelico.

Ma la rena ha invaso il mondo
In un turbine. Poi si è posata
È tutto è stato giallo.
Giallo come il sole
Che abbacina i giorni, le ore.
Che copre la tua urna
Con una patina opaca.

Ti ho messo sulla finestra di fronte al mare.
Il mare si è ritirato
lontano. Un miraggio, una fata Morgana.

Il mare che amavi di lontano
Perché ad entrarci avevi timore
Di essere trascinata via da un vortice
Verso profondità terrorizzanti.

Così la paura
Ci vieti la conoscenza del mondo.

Potremmo respirare sotto il mare?
O diventarne abitanti fantasmatici
Dai capelli fatti di alghe grigio brune?

Perché il cuore è diventato
Così arido?

Verrà presto la pioggia
E si alzerà la polvere
Alle prime gocce pesanti.
Salirà il petricore, e sarà, come sempre,
Intollerabile al cuore.

Non sappiamo più piangere.
E senza lacrime niente pioggia,
Nessun sollievo.

Perché continuo a parlare alle tue ceneri
Come se fossi tu, come se questa
Vera trasformazione materiale
Non fosse poi così vera e tu potessi,
In un modo che ancora non so, starmi a sentire
E, addirittura, in qualche modo, rispondermi?
Ti parlo in silenzio, senza suoni,
Per non coprire il rumore della pioggia,
Se dovesse arrivare.

Il naufragio presuppone l’acqua
Mentre noi naufraghiamo in un deserto
– Il deserto dell’età dell’incertezza
Quando il mondo si ridisegna
secondo linee sconosciute
Ed altre si cancellano pian piano.

Perché il cuore è diventato così arido?

Sentiamo le voci di lontano
Di chi muore per acqua, e a noi non tocca il cuore,
Ci tocca solo il nostro arideggiare
Sempre più giallo.

Il cuore vorrebbe essere innaffiato
Con un piccolo innaffiatoio azzurro
Tempestato di stelle
E colmo d’acqua di fonte, di quelli
Delle favole che non smettono di versare
Fino a che la sete non si plachi.

Perché questo senso di naufragio
Che prende il cuore all’improvviso
E non lo abbandona fino a tardi,
Ingannato solo, e non sempre, dal sonno?
Perché sono solo io
Sopravvivente?

Nell’immenso naufragio quotidiano
Di quanto il pensiero
Costruisce per sé soltanto
Si salva solo ciò che non ha memoria
Di sé,
ciò che non si chiama fuori, sentendosi diverso
O superiore, o distante,
E dunque è parte integrante di un fluire
Di infinite varianti e transizioni.

Forse per questo posso ancora parlarti
Guardando dalla finestra il naufragio del tempo
Che fu nostro, senza esserne malata.
Posso ancora scrivere parole
E trasformarle in elegia di te, ma so per certo
Che saranno solo segni neri
Senza nessun significato, formiche
Su campi digitali, destinate
Soltanto a venire cancellate.

Il deserto ci aspetta, l’oblio
Di ciò che siamo stati, seppur fummo
Qualcosa oltre che nuvole d’estate
Oziosamente osservate alla finestra.

Ma pure, mi dico, quelle nuvole
Hanno dissetato l’erba in un giorno di calura,
portato un diversivo alla giornata
Vuota di un derelitto,
hanno incontrato altre nuvole,
Sono diventare cumuli,
Hanno generato temporali,
Si sono sciolte in pioggia.
Forse ti hanno incontrato,
Forse ti incontreranno.
Forse avrete un codice
Che a me non è ancora dato.

Acqua e terra,
Aria e vampa.
L’io continua ad ardere,
Sciocca candela al verde.

ELEGIAultima modifica: 2019-08-01T11:26:31+02:00da bibliosaura
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