Attempate sirene (Ultimo racconto per Sara)

Sono distesa sulla mia stuoia da yoga sotto un albero del parco vicino casa. Al momento è la soluzione più fresca, in questa estate che comincia a farsi minacciosa già a fine giugno. Sono qui a guardare il cielo attraverso le fronde del melograno, individuando tra i rami qualche frutto, ancora acerbo, che risalta più scuro sul verde squillante delle foglie. Il prato è verde smeraldo sotto il sole radente del pomeriggio. Studio attentamente il verde dell’erba e dei melograni, il contrasto con le gazze nere, il gruppo vociante di bambini che sciama su e giù per il pendio, penso alle amiche che non sento da un po’. Insomma mi sto ammorbando. A un tratto squilla il telefono strappandomi alle mie riflessioni.
È Lucia.
– Ciao Eli, che fai?
– Sono al parco. Tu?
– A casa col torcicollo…
– Tipico di questi periodi, rispondo (ti prego, Lucia, non mi attaccare la pippa dei malanni del corpo!)
– Ma appena sto meglio voglio riprendere ad andare al mare.
– Quando? Dove? Voglio venire anche io!
Immagino un luogo esotico, con scogliere e pini sulla spiaggia. Lucia ha sempre avuto il gusto dei luoghi extra-ordinari, lontani dal chiasso e dalle solite rotte.
– Quest’anno non ho molte prospettive … Sto andando all’ultima spiaggia, quella tra il Miramare e il Lido dei disabili. La mia ultima spiaggia, è il caso di dire! No, dai, facciamo la penultima! e scoppia a ridere.
Il luogo in questione è una spiaggia urbana libera, piccolissima, frequentata da anziani, ragazzini del quartiere che si tuffano dagli scogli e qualche nostalgico dei tempi in cui “il mare in città era favoloso”. Non era mai stata nei nostri orizzonti.
Lucia, una delle mie amiche del cuore, sessantacinque primavere e dietro le spalle un’esistenza di viaggi, di incontri, di tante cose che col tempo diventano sempre più ardue: anche decidere di salire in macchina e andare verso giù, verso la costa più selvaggia e impervia che si estende a sud. E lo stesso vale per me, pur se sono più giovane di qualche anno. Impegni, stanchezza, una latente apatia smorzano qualunque slancio. Passa un treno lontano oltre il parco, il suo sferragliare taglia in due i miei pensieri. All’improvviso ho una visione.
– Sei sempre lì, chiede Lucia, perché non parli?
E io – Senti, e se prendessimo un treno per chissà dove?
Momento di pausa e incertezza, poi un guizzo nella voce di Lucia.
– Perché no? Nord o sud?
E mi ritrovo coinvolta in men che non si dica.
– A sud, le rispondo, è più suggestivo. E poi c’è un posto di cui mi sono ricordata…
Così qualche giorno dopo ci ritroviamo alla stazione. Il treno è stranamente affollato per un giorno feriale, considerato anche che è mattina presto. Euforiche e ansiose, cerchiamo un buon posto e ci sediamo. La nostra prima meta è una piccola stazione marina a circa tre ore di viaggio. Si scende dal treno e c’è la spiaggia. Siamo perse nelle nostre chiacchiere e nel paesaggio che scorre veloce, quando passa il controllore.
– Buongiorno signore, biglietti prego!
Io continuo a guardar scorrere il paesaggio dal finestrino. Lucia mi bussa leggermente sul braccio.
-I biglietti, li hai tu!
– No rispondo, no, non ce li ho, non li hai presi tu?
– Ma hai detto che li avresti fatti on-line, dice Lucia, allarmata.
Le mie dimenticanze sono memorabili. Lo sguardo del controllore passa dall’una all’altra, in attesa. Poi si ferma su Lucia, con una vaga espressione di stupore.
– Allora niente biglietti… A quale stazione siete salite?
– A S., diciamo in coro. Lui non sembra crederci.
– Sapete che dovrei farvi la multa dalla prima stazione di partenza del treno?
– No, quale è la prima stazione di partenza?
– Milano.
– Milano, facciamo eco spaventate. Ma non siamo su un regionale?
– No, questo è un treno interregionale speciale da Milano.
– E quanto fa il biglietto da Milano?
– €190. A testa. Più la multa.
– Ma non è possibile, dico, come può credere che veniamo da Milano?
– Dove siete dirette? Chiede ancora il controllore.
– A Maratea come prima tappa, ma pensavamo di arrivare a San Nicola e anche a Tropea… Ma se Lei ci fa pagare tutti questi soldi la vacanza è rovinata!
Lucia si fa di cento colori, intorno a noi gli altri viaggiatori ridacchiano fingendo di non guardarci. Immagino i commenti. In quel momento la voce metallica dell’altoparlante annuncia la stazione di Marina di Maratea.
-Venite con me, dice il controllore, seguitemi. E così scendiamo dal treno proprio alla prima stazione del nostro itinerario.
– Aspettate un momento, dice lui. Poso la borsa.
“ Ma non doveva farci una multa?” ci interroghiamo Lucia e io ma solo con gli occhi. Dopo un po’ il controllore esce dall’ufficio. Non ha più addosso la sua divisa da controllore, ma un paio di bermuda e dei giapponesi ai piedi.
– Possiamo andare, dice, Immagino siate dirette alla spiaggia qui sotto.
Oddio penso e mo’ questo cosa vuole appresso a noi, ce lo dovremo tenere dietro tutto il giorno? Quasi quasi è meglio la multa!
Scendiamo la strada che in due curve porta alla spiaggia. Che è proprio come l’avevo ricordata: una grande distesa di sabbia bionda racchiusa fra scogliere, completamente deserta. Il mare è di un azzurro indicibile, il cielo altrettanto, voli di gabbiani, qualche nuvola, sarebbe tutto impeccabile senza questa storia del biglietto e il controllore alle calcagna. Attraversiamo la spiaggia, ci fermiamo in un punto in ombra sotto la roccia. Lucia mi lancia di tanto in tanto sguardi assassini. Lo so, è colpa mia. Sono stata io a dimenticare i biglietti. Che posso farci. Stendiamo gli asciugamani. Il controllore ha un sorriso sotto i baffi, ci guarda con una strana espressione. Poi si rivolge a Lucia.
– Possibile che non mi riconosci?
– No, risponde lei incazzata – non credo di riconoscerLa, anzi non credo proprio di conoscerLa!
– Estate del 1982, Napoli Reggio Calabria e ritorno, 10 tappe 15 giorni. Dormivamo nelle cuccette. Poi sei scomparsa.
Lucia sbianca, lo guarda a bocca aperta.
– Vanni? Sussurra. Già facevi il controllore!
-Si sono Vanni. Altro che 380 euro dovrei farti pagare. Ti ho cercata per mesi. Ero proprio cotto. Mi hai spezzato il cuore e te ne sei andata.
Lucia ingoia a vuoto, poi tenta uno spiegone. Laurea, Inghilterra, lavoro, bla bla bla. Ma io, che la conosco da sempre, so che in quella estate del 1982 era partita all’improvviso dietro a un suo grande amore (rivelatosi poi una sòla) subito dopo essere tornata da una “vacanzina”. Di Vanni mai sentito parlare. Lo guardo meglio. Non è niente male, per la sua età. Dev’essere vicino alla pensione. Dove lo avrà conosciuto Lucia? Direttamente sul treno? Ripenso a certe avventure di allora e mi dico che può essere. Sicuro può essere. Siedono vicini, cominciano a parlare fitto. Ridono.
– Vado a provare l’acqua, dico. Neanche mi sentono.
Il cell di Vanni squilla. Lui risponde, fornisce brevi informazioni, e dopo qualche minuto arriva un altro personaggio. O meglio un altro controllore. Stessa età, stesso modello. La cosa mi inquieta. È vero che alla fine siamo quattro vecchietti su una spiaggia, ma antiche paure mi assalgono. Cosa ci succederà?
– Il mio collega Luca, avevamo appuntamento a fine turno per fare un bagno insieme, mica vi dispiace se resta con noi.
– No, figurati, dico io rassegnata.
Dopo un po’ siamo in acqua a schizzarci e fare tuffi. Se non avessimo i capelli bianchi, da lontano potremmo passare per un gruppo di ragazzi che si diverte a mare. Tutto sommato ce la possiamo ancora tirare, Lucia e io.
– I tuoi capelli… è il loro colore naturale ? Mi chiede Luca spostandomi una ciocca dalla fronte.
– Certo, sono bianchi, rido imbarazzata.
– Non proprio bianchi, dice lui, hanno dei riflessi d’oro e d’argento, sembri una sirena…
– – Si, dai, una sirena attempata!
Faccio una calata temporeggiatrice. Non ci posso credere, ci sta provando. E tutto è quasi come a vent’anni. Forse anche un po’ meglio, chissà.

Maria Teresa Schiavino

Attempate sirene (Ultimo racconto per Sara)ultima modifica: 2020-09-06T11:36:30+02:00da bibliosaura
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