L’ultimo amore di Baba Dunja, di Alina Bronskij. Recensione

Forse solo da vecchi si capisce cosa sia davvero casa. Passati gli anni dell’inquietudine, della ricerca dell’amore, del lavoro continuo e massacrante, delle ansie legate agli eventi del mondo, casa è il luogo in cui finalmente il tempo comincia a scorrere a un ritmo naturale, dove la vita trascorre senza più sconvolgimenti o obblighi, dove si accettano la distanza, la solitudine, la nostalgia, la morte.
È il luogo che si sceglie definitivamente, per non lasciarlo mai più. Per Baba Dunja è Černovo, villaggio a poca distanza da Černobyl, un luogo ferito e abbandonato a se stesso dopo la tragica esplosione del 1986. Ma è proprio lì, in quel paesaggio ferito e abbandonato dall’uomo, che Baba Dunja ritorna. In questo mondo ripudiato vivono solo lei, ormai ottantenne, e pochi altri profughi della vita, uomini ammalati, donne sole, nessun bambino. Ma stranamente quel villaggio non sembra morto. Ci vivono insetti, uccelli, animali domestici, nei piccoli orti si coltivano pomodori, cetrioli, crescono peschi ormai inselvatichiti. D’inverno la neve copre tutto con la sua gentile coperta, la primavera porta profumi che somigliano ai profumi di tutte le primavere. E Baba Dunja trascorre la sua vita prossima al grado zero dell’esistenza, vivendo del poco che quel mondo le dà. Perché quel poco non è poco come potrebbe sembrare: è la libertà. “Se c’è una cosa di Černovo che non baratterei nemmeno con l’acqua corrente e una linea telefonica, è la questione del tempo. Da noi il tempo non esiste. Non esistono né termini né scadenze. In sostanza i nostri processi quotidiani sono una specie di gioco. Riproduciamo ciò che le persone fanno di solito. Nessuno si aspetta niente da noi. Non siamo obbligati né ad alzarci la mattina né ad andare a letto la sera. Potremmo anche fare esattamente il contrario. Mettiamo in scena la giornata, così come i bambini mettono in scena la vita con le bambole e i negozi in miniatura. Intanto ci dimentichiamo dell’esistenza dell’altro mondo, in cui gli orologi vanno più veloci e tutti hanno un’ansia terribile di questa terra che ci nutre. Quest’ansia è intimamente radicata nelle altre persone e il confronto con noi la fa affiorare in superficie.”
Baba Dunja avrebbe potuto trasferirsi in Germania, dove vive la figlia, ma non ha scelto l’Occidente. Nelle sue parole scorre l’educazione sovietica, il senso del dovere che l’ha accompagnata per tutta la vita e che ha insegnato ai suoi figli, il rispetto, più profondo, per una natura che dona moltissimo all’uomo. E dopo essere stata infermiera fino ai settant’anni, per dare il suo contributo al paese ferito dall’esplosione nucleare, è tornata a Černovo. È una donna pacificata con se stessa, capace di grandi gesti, capace di guardare al futuro senza alcuna paura, di affrontare la vita e la morte senza ricorrere a un dio, avendo ritrovato il suo posto dentro la natura.
“Io controllo che i bicchieri siano sempre pieni, che tutti abbiano qualcosa nel piatto. E ho la sensazione che qualcuno ci osservi. Se fossi credente direi che è Dio. Ma nel nostro Paese Dio è stato abolito quando ero piccola e io non sono mai più riuscita a recuperarlo. A casa dei miei genitori non c’erano icone e non si pregava. Negli anni Novanta non mi sono fatta battezzare, come molti altri, perché trovavo sciocco che un adulto si immergesse in una tinozza e inalasse del fumo aromatico. Benché sia assolutamente convinta che Gesù Cristo sia stato un uomo onesto, stando a quello che si dice.”
L’ironia e ingenuità di Dunja ci portano per mano in un mondo che non si aspetta più nulla dal Mondo, e forse proprio per questo raggiunge la propria pienezza.

L’ultimo amore di Baba Dunja, di Alina Bronskij. Recensioneultima modifica: 2022-02-28T20:25:05+01:00da bibliosaura
Reposta per primo quest’articolo