Tempo di seconda mano, di Svetlana Aleksejevic

svetlanaChe dire di questo potente racconto corale che in oltre 700 pagine scende nel cuore della storia russa degli ultimi venti anni? Ecco, proprio questo:  si tratta di un racconto potente, profondo, che riesce a spingersi bel al di là dei limiti cronologici del titolo – la vita in Russia dopo il crollo del comunismo. Un libro che ha fatto vincere il premio Nobel per la letteratura alla sua autrice, Svetlana Aleksejevic. Ma forse il premio non è solo per lei: è per tutte quelle voci che, confidandole la propria esperienza personale e collettiva, le hanno fornito dei materiali unici e velocemente deperibili da salvaguardare a futura memoria.

La lettura dei racconti mette i brividi. Non è soltanto la storia della caduta del comunismo, il gigante che ha dominato la scena politica per oltre 70 anni dissolvendosi in pochi giorni come una statua di sale, lasciando milioni di donne e uomini di fronte a una libertà ben diversa da quella immaginata. E’ la storia di un sogno collettivo che si è infranto sul nascere, a contatto con la realtà. E’ la storia dei giorni terribili vissuti dall’Europa con la seconda guerra mondiale. E’ la storia delle epurazioni e dei conflitti etnici e religiosi, della guerra per le ricchezze del sottosuolo.  E’ una storia di atrocità, di guerre, di paura. Ma è anche una storia di fiducia, di speranze e di illusioni.

L’homo sovieticus creato dal regime vive con disagio il clima di oppressione e di paura, pur cercando una propria dimensione all’interno di un sistema che fatica a comprendere del tutto, fatto di violenze e soprusi, di denunce anonime e di deportazioni, sopportati in nome dell’ideale della costruzione del sogno socialista. 

L’epoca di Gorbaciov e poi di Eltsin è raccontata come un momento di grande speranza, in cui sembra davvero vicino e realizzabile quel “socialismo dal volto umano” in cui diverse generazioni di sovietici avevano sperato. Ma quest’epoca si rivela invece altrettanto violenta e sanguinosa di quella che l’ha preceduta: guerre, scontri etnici, vendette tribali, mafia – dove si era nascosta per settant’anni? – continuano a tormentare il grande paese che lentamente si sgretola, perde pezzi, combatte contro se stesso dall’interno.

La gente comune che è intervistata e che dona il proprio racconto alla corale di Svetlana Aleksieevic crea un affresco cupo e potente del mondo russo (di cui è  impossibile dare conto completamente) in cui le tragedie nuove si sovrappongono alle antiche creando una sequenza di sofferenze e lutti, di povertà e di coraggio, di stupore e rassegnazione. In questo libro, come nel racconto fotografico di Salgado “Il sale della terra” filmato da Wenders, è narrata la follia – e la violenza – del Potere, che coinvolge senza scampo le piccole vite. Immagini potenti, racconti potenti nella loro individualità mettono a nudo una verità terribile:  non ci sono luoghi sicuri, qualunque condizione umana può essere soggetta all’arbitrio della violenza, e divenire all’improvviso precaria. Questo libro non è un libro contro il comunismo o contro il capitalismo, ma contro l’orrore della Storia e del Potere.

 Un’ultima breve annotazione bibliosaurica: nei racconti c’è un continuo riferimento ai libri. Questo tema ritorna in molte delle interviste, ed è quasi una sorta di chiave di lettura di quello che è stato. Nel regime sovietico la gente leggeva tanto, discuteva, andava a teatro. Nelle cucine delle case sovietiche si parlava, si criticava, ci si passavano i libri proibiti, le copie manoscritte, i samizdat. Era una sorta di resistenza della mente e del cuore, il bisogno di capire leggendo, di creare una comunità intellettuale in cui riconoscersi e da cui partire per cambiare le cose. Cosa, o meglio chi  leggevano i Russi, chiusi nelle loro cucine anguste, seduti sulle loro seggiole dure? Leggevano i vecchi scrittori, Puškin, Lermontov, leggevano Esenin, Evtušenko, Achmadulina, i Mandel’štam, Dovlatov, Nekrasov,  Vysovskij…  Ma c’erano anche i libri di regime, le gesta eroiche, la storia dell’URSS raccontata dai cantori ufficiali. E dopo il crollo del comunismo, con l’installarsi di un’epoca altrettanto violenta e terribile, in cui il  potere di fame e di morte era passato dallo Stato ai Privati, nei mercatini improvvisati  per sopravvivere lungo le strade della capitale,  i libri – intere biblioteche – sono buttati in mucchi sull’asfalto, e nessuno ha più interesse a leggerli. La lettura ha perso il suo potere di resistenza, la diga ha ceduto, dimostrando forse l’inutilità e l’illusione di voler cambiare il mondo leggendo libri? 

“A scuola ci hanno detto: ‘leggete Bunin, Tolstoi, sono i libri che ci salvano’… Vorrei chiedere a qualcuno: perché questi libri non si trasmettono da una generazione all’altra e le maniglie nell’ano e i sacchetti di plastica in testa si?” (p. 667).

Il Tempo raccontato da Svetlana Aleksejevic non è di seconda mano: è un tempo nuovo e selvaggio,  comune a gran parte del mondo attuale, che perciò ci riguarda tutti. Se leggere non ci salva dalla violenza, ci aiuta almeno a decifrare il mondo. 

Tempo di seconda mano, di Svetlana Aleksejevicultima modifica: 2015-11-14T10:22:23+01:00da bibliosaura
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