La Vegetariana, di Kang Han

“La vegetariana” di Kang Han è un romanzo sconvolgente che accompagna il lettore, attraverso tre gironi infernali, verso le profondità di ciò che comunemente viene definita “malattia mentale “. Ma questo viaggio intorno a una coscienza “malata” dimostra l’assoluta arbitrarietà del giudizio comune e la logica che guida le azioni, all’apparenza insensate, della protagonista. La malattia sembra nascere dallo scontro tra istanze di libertà individuale e rigidità della struttura sociale, tra la vita come è e come dovrebbe essere. Le scintille che sprizzano da questo scontro sono il sangue e la sofferenza di Yeong hye.
Chi è Yeong hye? Cosa sappiamo della sua storia interiore? Nulla. E non ne sapremo nulla fino al momento in cui, in maniera apparentemente folle e disperata, per la prima volta nella sua vita si pone come antagonista del gruppo sociale di cui fa parte, e alle cui regole sembra aver silenziosamente e supinamente aderito fino a quel momento.
“ Ho fatto un sogno”… inizia con queste parole la scissione, lenta ma inesorabile, dalla sua vita quotidiana e dai rapporti su cui si regge. Dal momento in cui questo sogno si materializza nella sua mente, nulla può più essere – e nulla sarà più – come prima.
La partitura in tre movimenti del romanzo ci fa entrare poco alla volta, da prospettive differenti, nel mondo interiore di Yeong hye. Ma in questo mondo lei ci appare come un avatar, riflesso di un’assenza. Lei è già altrove, inconoscibile e distante. È la disobbedienza alle regole matrimoniali e familiari a far emergere la distanza, la profonda frattura fra lei e gli altri. Una psicosi? O una improvvisa rivelazione della propria condizione?
La prima descrizione di Yeong hye è quella che ne fa il marito. Uno specchio evidentemente deformato: giustificato in ciò dal contesto socio familiare di cui fa parte, egli parla di lei come di un oggetto. La persona Yeong hye gli è del tutto sconosciuta e indifferente. Yeong hye è una funzione. Un uomo meschino e calcolatore prende per moglie una donna mite dalla quale avrà servizio domestico e sessuale senza che questa avanzi alcuna pretesa. Ma il sogno – un sogno terribile – rompe l’equilibrio della coppia e Yeong hye è condotta dinanzi al tribunale della sua famiglia, che si rivela feroce. Nessuno si preoccupa di chiederle il motivo della sua scelta radicale – l’impossibilità non solo di mangiare, ma anche di toccare la carne. Smettendo di essere ciò che “deve” essere per la famiglia e la società, sottraendosi alle regole imposte, Yeong hye ha spezzato un tabù e viene ostracizzata. Ma è in questo preciso momento che diventa qualcuno, che acquisisce un significato sociale, seppur negativo. “Prima che mia moglie diventasse vegetariana l’avevo considerata del tutto insignificante“. Dopo questa scelta lei diventa “significante” per lui, ma solo in quanto problema di cui liberarsi. La malattia di Yeong hye non è catartica, non provoca cambiamenti se non in lei stessa. La corazza degli altri è troppo dura, inattaccabile, e così accanto a Yeong hye, marchiata con lo stigma della malattia, restano soltanto la sorella In-hye e il cognato.
Ed è proprio attraverso gli occhi del cognato che seguiamo Yeong hye nel secondo movimento. Una Yeong hye apparentemente guarita, pur se ormai isolata in una sua dimensione misteriosa e lontana. La tenerezza di entrambi nei suoi confronti, che all’inizio la sostiene nella deriva, prende presto due strade diverse: se per In hye Yeong hye resta per sempre la sorella taciturna con cui ha condiviso gli anni dolorosi dell’infanzia segnati dalla violenza paterna, per il cognato il corpo di lei, reso evanescente dal digiuno, diventa presto un’ossessione artistica ed erotica, ennesima oggettivizzazione cui Yeong hye, ormai al di là del bene e del male, non sa opporre resistenza. Si tratta di una esperienza vissuta dalla donna come una metamorfosi, interrotta bruscamente dall’irruzione del reale – infermieri e ospedale psichiatrico. Dunque anche l’arte, pur nella sua pretesa di purezza e di assoluto, sembra diventare esperienza fagocitante e distruttiva, incomprensibile e misteriosa. L’arte non serve a guarire, non serve a spiegare, restando essa stessa un mistero. Bellezza e tristezza dell’arte.
La terza parte, in cui la vicenda si avvia al suo naturale quanto tragico epilogo, è filtrata attraverso l’interiorità di In hye, che si rivela altro personaggio chiave della vicenda: alter ego di Yeong hye, chiusa in una propria privata tristezza, smarrita anche lei in un rapporto di coppia fallito ma sostenuta da un istinto di sopravvivenza che potrebbe chiamarsi senso di responsabilità o forse amore: per il figlio cui ha dato la vita, ma anche per la sorella minore, il cui mistero lentamente si rivela man mano che In hye lascia alle spalle i luoghi comuni sulla malattia e, mettendosi quasi nella pelle della sorella, riesce a comprenderne le ragioni profonde.
L’inoltrarsi di Yeong hye in ciò che il mondo etichetta come follia, anoressia, schizofrenia – ma che in realtà appare come consapevolezza sempre più lucida e inarrestabile della terribile condizione di tutto ciò che vive – rivela ad ogni passo le tante forme di violenza che la società impone: violenza nelle relazioni fra uomo e donna, fra padre e figlie, violenza della cura sulla sacralità del corpo, violenza più ampia e invisibile dell’uomo sulle altre specie viventi, anche esse rese oggetti di consumo di una società che ha perduto ogni dimensione spirituale dell’esistenza.
Mentre i personaggi maschili appaiono tutti come dei bambini bisognosi di accudimento, incapaci di farsi carico della vita, nascosti dietro le loro prerogative di genere, le due sorelle portano su di sé il peso della cognizione del dolore, reagendovi però in maniera diversa, secondo due traiettorie opposte: la maggiore è ancorata alla vita e alle proprie responsabilità, la seconda è in fuga dalla coscienza di sé, tesa a una impossibile trasmutazione in elemento vegetale, finalmente libera dalla condanna all’umanità e al dolore. E così che le due sorelle si ricongiungono, alla fine: la maggiore, unica sopravvissuta di un universo familiare in rovina, in preda ai sensi di colpa pensa di non riuscire a perdonare alla minore “di essersi involata da sola al di là di un confine che lei non era mai riuscita a varcare, non aveva saputo perdonare quella meravigliosa irresponsabilità che aveva permesso a Yeong hye di liberarsi delle costrizioni sociali, lasciandola indietro, ancora prigioniera”, ma le rimane accanto disperatamente.
Il dolore di vivere è dunque la cifra di questo romanzo. Ma se pure la narrazione ruota intorno alla catabasi di Yeong hye, mi sembra che l’eroina della storia sia, alla fine, In hye. Tragica figura di donna e di madre condannata a sopravvivere alla morte e alla rovina delle persone che ha amato, incarna in pieno la disgregazione della società patriarcale e la nascita di un nuovo modello di umanità, dai confini ancora incerti e dubbiosi. In hye non può arrendersi né sottrarsi alla lotta: la presenza del figlio Ji woo la salva dalla deriva, la costringe a vivere, seppur con la consapevolezza di non poterlo proteggere dall’inevitabile dolore che lo aspetta al di là delle porte dell’infanzia. Forse la risposta si trova nell’amore.

La Vegetariana, di Kang Hanultima modifica: 2021-05-26T00:34:10+02:00da bibliosaura
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