Cercando Euridice. Un racconto per il giorno dei morti.

Era il primo novembre, le cinque del pomeriggio, ma sembrava notte fonda. Faceva buio da almeno un’ora e il cielo plumbeo buttava giù pioggia a rovesci. I fari del camion illuminavano una strada di campagna solitaria e desolata. Ai bordi, ombre vaghe al posto dei soliti alberi. Luca aveva fretta di arrivare a casa. Viaggiava senza sosta da tre giorni per poter essere a casa la sera del primo novembre, per mangiare insieme alla figlia i dolcetti di Hallowen. Non che gli piacesse tanto, ‘sta festa americana, ma la figlia la adorava. Aveva passato giorni a scegliere il vestito con cui andare in giro con le amichette, non aveva neanche voluto mostrarglielo per fargli una sorpresa. Adesso era sicuramente in giro per il quartiere. Speriamo non si bagni troppo, pensò, una febbre non ci vuole proprio… La loro condizione non permetteva nessun inciampo. La mamma di Lia era morta l’anno prima, e da allora potevano contare solo su loro stessi e sulla solidarietà dei vicini.
Lontana, una forma entrò nel fascio di luce dei fari. Una pensilina per autobus – non ricordava di averne mai viste su quella strada. Scese di marcia, per evitare di far schizzare l’acqua appantanata ai lati della strada. C’era qualcuno sotto la pensilina, e faceva dei gesti per farsi notare. Rallentò fino a fermarsi, abbassando il finestrino dal lato del passeggero.

– Qualcosa non va?- chiese alla figurina vestita di scuro che si riparava alla meglio sotto la pensilina. Rispose una voce di ragazza:
– Aspetto da un’ora un autobus, ma non passa…

Da dove poteva essere venuta? Per quel che ne sapeva, non c’erano case nell’arco si chilometri.
– Non sono sicuro che da qui passino autobus. Dove devi andare? Posso darti un passaggio, se vuoi.
– Grazie, sei gentile, rispose la ragazza. Comincio ad avere paura in questo buio.
Aprì lo sportello e montò su.

Era davvero giovane. Indossava una gonna nera di voile, molto ampia e lunga al polpaccio, calze nere, anfibi. Il cappuccio di una felpa nera le copriva la testa.

– Mi chiamo Euridice, disse abbassando il cappuccio. Aveva lunghi capelli biondi e il volto, delicatissimo, truccato di uno strato di biacca. Gli occhi risplendevano, neri nel bianco. Al centro della guancia sinistra era disegnata una cicatrice coi punti di sutura. Le labbra erano rosso sangue.
– Vai anche tu a fare dolcetto scherzetto? – le chiese Luca mentre rimetteva in moto.
Lei sorrise e non rispose. Il camion si rimise lentamente in carreggiata. La pioggia era diminuita, fino a trasformarsi in una nebbia fitta. Non si vedeva a un metro. Luca azionò i fari gialli.
– Dove devi andare?
– Qui vicino, lungo la strada. ti dico io dove. E tacque.
La presenza della ragazza nella cabina metteva addosso a Luca uno strano sentimento, un misto di dolcezza e tristezza nello stesso tempo. Emanava da lei un profumo di muschio, qualcosa tra un sentore di terra bagnata e patchouli. Gli ricordava qualcuno, ma non sapeva bene chi. Avrebbe voluto saperne di più su di lei e sulla sua presenza in quel luogo, ma qualcosa gli impediva di fare domande. Si concentrò sulla luce dei fari che perforavano la nebbia.

Lo scenario intorno aveva perduto l’aspetto familiare di sempre, trasformandosi in un paesaggio fantastico popolato di strane creature sfuggenti ai lati della strada. Effetto della nebbia e della stanchezza, pensò. Da quanto viveva su quel camion? Gli tornarono in mente i tempi felici in cui il camion era tutto per lui e per Adele, la mamma di Lia. Era la casa delle vacanze, era la finestra alta sul mondo, era la loro l’avventura. Adele l’aveva conosciuta lungo la strada, si era fermato a darle un passaggio in una splendida giornata di giugno e da allora, per quindici anni non si erano più separati. Adele, l’estate, il grano dei capelli. La sua passione per la poesia, i suoi libri in ogni angolo. Il ricordo di lei gli illuminava la strada più dei fari gialli del camion.
– Fra un po’ sarà di nuovo estate, disse la ragazza in un sussurro.
Luca si riscosse. Aveva dimenticato la presenza di lei sul sedile accanto. Sembrava che gli avesse letto nel pensiero.
– Fra poco? L’estate è appena finita…
– L’estate dei morti, insisté la ragazza.

Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.

Gli tornarono in mente questi versi, forse studiati a scuola tanti anni prima. Non ci aveva mai pensato. L’estate dei morti. Come se i morti potessero avere un’estate, ormai. L’estate è dei vivi, di chi ancora può sentire sulla pelle il cambiare del tempo e la carezza delle stagioni. Gli venne voglia di piangere.
– Io sono arrivata, disse la ragazza. Mi puoi lasciare all’altezza di quelle luci.
Nella nebbia qualcosa brillava debolmente. Forse l’ingresso di una casa. Immaginò il calore e le luci all’interno, la festa coi dolci a forma di ossicini. Gli tornò in mente Lia e le sue amichette e la zuppa di cavolo verde che Adele preparava per loro, che avevano chiamato vomito di drago. Lo afferrò uno struggimento di essere con lei. Accostò per lasciar scendere Euridice.
– Sei sicura del posto? Si rassicurò prima di ripartire. – Non tornerò su questa strada prima di due giorni…
– Si, grazie, rispose lei con un grande sorriso. È stato bello incontrarti – E prima di scendere gli diede un bacio sulla bocca.
Luca era stupito. Continuò a guardarla mentre spariva nella nebbia. L’ultima visione furono i suoi capelli biondi ondeggianti nel buio. Riprese la strada, il profumo di lei continuava ad aleggiare nella cabina.

– Lia, sei in casa?
Dal salotto veniva un frastuono, grida e musica a tutto volume. Si stavano divertendo, le ragazze.
– Papà!
Lia gli volò tra le braccia e per poco non gli prese un colpo: era vestita allo stesso modo della ragazza del passaggio. Le somigliava, sembrava lei.
– Che bello questo vestito! Da cosa è?
– La sposa cadavere, ricordi? Vedevamo sempre il cartone animato ….
Ricordava bene il cartone, che avevano visto e rivisto negli Hallowen dell’infanzia di Lia. Era molto bello, anche se lui lo aveva sempre trovato un po’lugubre per una bambina.
– Che fate, ragazze?
– Aspettavamo te per mangiare i dolcetti. Li hai portati?
– I dolcetti! Li ho lasciati sul cruscotto del camion. Vado a prenderli.
– Veniamo con te! Vogliamo salire sul camion!
Attraversavano il cortile buio. Luca aprì la portiera e le tre ragazzine si arrampicarono nella cabina.
– Cosa è questo? Gridò Lia. Mi hai portato un regalo?
Sul sedile era rimasta la felpa nera della ragazza, insieme a una piccola borsetta di raso nero.
– Oh, no, disse Luca, adesso mi toccherà cercarla per restituire tutto.
– A chi devi restituire?
Luca raccontò per grandi linee il breve incontro con la ragazza, scesa in un punto imprecisato della strada che portava a casa.
– Incredibile a dirsi, ma era vestita e truccata proprio come te, Lia!
– Davvero? E andava anche lei a fare scherzetto dolcetto?
– Cerchiamo i suoi documenti nella borsetta, così la chiamiamo e le riportiamo le cose.
Ma nella borsetta non c’erano documenti, solo una catenella d’argento con un ciondolo tondo, di quelli che contengono piccole fotografie.
– Chissà che cosa contiene… vediamo! E Lia aveva già fatto scattare il meccanismo del ciondolo. Non c’erano foto ma solo un foglietto con pochi versi:

Era quasi una fanciulla, nata
dalla felicità del canto e della lira,
fu luce nella trasparente veste
primaverile, e nel mio udito giacque.

– L’unica è andare alla casa della festa e riportargliela! Dai , papi, veniamo anche noi, andiamo a fare un giro col camion.
Luca non aveva nessuna voglia di rimettersi alla guida, ma le ragazze insistettero talmente tanto che alla fine si ritrovò a rifare in senso inverso la strada che aveva appena percorso. Dopo alcuni chilometri cominciò a cercare le luci della casa.
Procedeva lentamente perché fare manovra con il camion sarebbe stato un casino. La pioggia aveva smesso di cadere, la nebbia si era dissolta e l’asfalto risplendeva alla luce della luna. Si vedevano delle piccole luci a una certa distanza, ma della casa nessuna traccia. All’improvviso i fari illuminarono un cancello di ferro. Fiammelle si spostavano qui e là al di là di esso.
– Eccola! Gridò Luca, accostando. Le ragazze ridevano eccitate.
– Aspettate qui, suggerì, ma loro erano già saltate giù.
Si avvicinarono al cancello, che era socchiuso. Lo spinse – si aprì stridendo sui cardini, entrarono. Ma non era la casa cercata. Davanti a loro c’era un piccolo cimitero di campagna, con piccole croci di pietra piantate nel terreno, e tante lucine tra una tomba e l’altra. Le ragazze si strinsero dietro di lui, spaventate e al tempo stesso eccitate. Lui stesso sentì un brivido scorrergli lungo la schiena. Non aveva mai notato un cimitero da quelle parti.
Le lucine si rivelarono essere lumini dalla luce rossastra, piccole torce di cera in mano a persone dal viso assorto.
– Forse si tratta di un Halloween party speciale, pensò Luca tirando un respiro di sollievo, tentando di tranquillizzare se stesso e le ragazze. Aprì la torcia del cellulare e cominciò a girare anche lui tra le tombe, con le ragazze attaccate alle braccia.
Passarono accanto a un’ampia pozzanghera illuminata dalla luce della luna. Gli sembrò di vedervi riflesso il volto di Euridice e si girò in fretta per chiamarla, ma non c’era nessuno dietro di lui. Guardò ancora, il volto sorrise un istante prima di sparire coperto da una nuvola.
Continuò a girare tra le tombe. A un tratto il fascio di luce della torcia illuminò una lapide che sembrava molto vecchia. Lo colpì il nome inciso sul marmo: Euridice Rilke. Senza data, senza nulla. Sulla lapide era scritto:

Era quasi una fanciulla, nata
dalla felicità del canto e della lira,
fu luce nella trasparente veste
primaverile, e nel mio udito giacque.

Gli stessi versi del ciondolo. Che strano sogno era questo? Guardò il volto della foto, gli sembrò somigliante a sua moglie, gli sembrò di cogliervi un sorriso, il riflesso di una lacrima. Ma era solo ciò che restava della pioggia di prima. Le ragazze, appese al suo braccio, non avevano notato nulla.
– Beh, andiamo, è evidente che qui non troveremo chi cerchiamo.
Si affrettarono verso l’uscita. La luce dei lumini si andava man mano affievolendo, il cancello si chiuse stridendo alle loro spalle.
Spinse le ragazze sul camion, e riprese in silenzio la strada di casa.

– Papà, papà, pensavo non tornassi più!
La voce della figlia lo riscosse. Si risvegliò abbracciato al volante.
– Papà, ti abbiamo aspettato, ma non arrivavi più… Titti e Manu se ne sono andate.
E salì accanto a lui in cabina, in pigiama, il trucco di Halloween ormai sfatto.
– Papi, I dolcetti? Ah, eccoli qui. E questo cos’è?
Una felpa nera con cappuccio giaceva sul sedile del passeggero.
Sotto la felpa una borsetta di raso. Nella borsetta, un ciondolo con dei versi.
– Un… un’autostoppista, balbettò Luca. Prese la felpa e un profumo di patchouli e muschio si diffuse nella cabina. Il profumo gli riportò prepotente l’immagine di Adele. Anche lei amava il patchouli. – dai, andiamo in casa, piccolina, prenderai freddo così leggera. Da cosa ti eri vestita? Mi sono perso qualcosa di fantastico?
Il vestito di voile nero della sposa fantasma era abbandonato sul pavimento, accanto agli anfibi sporchi di fango.
Sul tavolo, un mucchio di dolcetti incartocciati.
– Ci hanno dato questi! Li abbiamo divisi per tre.
Erano dei boeri al rhum. Macchinalmente Luca ne prese uno, lo scartocciò e lo mangiò. Il cioccolato e il rhum gli addolcirono il cuore. Ne prese un altro, e un altro, e un altro ancora. Al quarto, o quinto, non sentì sulla lingua il sapore noto ma un gusto di cartone. Guardò la cosa che aveva addentato: era una scatolina. La aprì. Dentro c’era un ciondolo d’argento, identico a quello della borsetta della ragazza. Aprì il ciondolo, e trovò la poesia:

Anni chiedeva, solo un anno ancora
di giovinezza, mesi, pochi giorni,
ah, non giorni, ma notti, una soltanto,
solo una notte, questa notte: questa
.

Cercando Euridice. Un racconto per il giorno dei morti.ultima modifica: 2019-10-26T15:39:16+02:00da bibliosaura
Reposta per primo quest’articolo