Bosco, un viaggio nel tempo

boscoLa strada che da Marina di Camerota sale per Lentiscosa e porta di nuovo al mare di Scario è quasi un viaggio all’indietro nel tempo. Pianori aridi e gialli a strapiombo sul mare precedono  un paesaggio che cambia all’improvviso per diventare quasi montano, con l’imponente massiccio del monte Bulgheria a dominare la verde vallata di San Giovanni a Piro. Ampi spazi silenziosi, campi coltivati, campanili, chiese, i resti di un’antica abbazia. I paesi sono abitati da quello strano silenzio che non è mutismo ma assenza degli assordanti rumori provenienti dalla civiltà: solo il vento, un gallo, il motore di un trattore.

Lungo questa strada si incontra il paesino di Bosco. Anche qui, in qualche modo, il tempo sembra avvolgersi all’indietro, o, almeno, guardare all’indietro, alla storia passata fatta di lacrime e sangue.

Un tempo comune capoluogo, oggi semplice frazione di San Giovanni a Piro, Bosco è letteralmente rinato dalle sue ceneri, e rappresenta ancor oggi una testimonianza molto forte di fierezza e di resistenza alla violenza di stato.

Per comprendere la storia di questo paese bisogna andare indietro nel tempo, agli inizi del secolo diciannovesimo, quando l’Italia meridionale era percorsa da fermenti insurrezionali che come scosse telluriche cominciavano ad agitare il quieto vivere del Regno di Napoli. L’anelito a forme di giustizia sociale e politica circolavano anche in questi luoghi sperduti del Cilento.

«Nel 1828 il Cilento si ribella alla dinastia borbonica e chiede la Costituzione»[1]. Una costituzione che era stata promessa da Ferdinando al popolo meridionale il 1 maggio 1815, quando, dopo il congresso di Vienna, era tornato sul trono. La promessa, formale, era stata fatta sulla piazza di Palermo, da cui il re aveva salutato il popolo[2]. Ma poi nessuna attuazione aveva fatto seguito alla promessa. In fondo cos’è una Costituzione? perché era così difficile concederla? Cosa ci perdeva la monarchia e cosa ci guadagnava il popolo? Semplici domande.

Una prima “rivoluzione per la Costituzione” era avvenuta nel Regno di Napoli tra il 1 e il 2 luglio del 1820: del tutto pacifica, nata dall’attività delle sette carbonare, chiese ed ottenne la Costituzione spagnola del 1812, che il re Francesco I, successo a Ferdinando sul trono di Napoli, fu costretto a promulgare, salvo poi revocarla poco dopo e imprigionare e processare tutti coloro che avevano preso parte sia ai governi provvisori che alle manifestazioni. Le truppe austriache erano giunte nel regno per ristabilire l’ordine pubblico, e lo lasciarono solo nel 1827.

Ma già il Cilento si preparava a una nuova insurrezione. Ad appiccare la miccia fu il canonico Antonio Maria De Luca, originario di celle di Bulgheria, che aveva conosciuto il carcere borbonico già nel 1799. Il canonico De Luca faceva parte della setta dei Filadelfi, una delle tante società segrete dell’epoca che combattevano l’assolutismo. Accanto al De Luca c’era Antonio Galotti, anch’egli filadelfo e cospiratore, e altre persone dell’area cilentana.

Non racconterò qui minutamente come fu preparata la cospirazione che avrebbe dovuto attirare le truppe reali in Cilento per permettere così ai cospiratori della capitale di insorgere e proclamare al costituzione. Né come la trama fu scoperta e molti dei capi imprigionati.  Né di come l’insurrezione fu comunque preparata e messa in atto, da quelli che riuscirono a salvarsi, con l’aiuto dei briganti Patrizio, Domenico e Donato Capozzoli, nativi di Monteforte Cilento. Non racconterò come il gruppo di rivoltosi, che diventava sempre più numeroso,  cominciò la sua marcia attraverso i paesi dell’interno, Camerota, Licusati, Torre Orsaia, Roccagloriosa, leggendo in ogni piazza il proclama della rivolta e proclamando la costituzione e promettendo migliori condizioni di vita alle popolazioni.Questo è su molti libri di storia. La cosa su cui voglio soffermarmi è la repressione che venne fatta di questa insurrezione, con le sue condanne a morte e la violenza sul popolo.  Per costringere il canonico Antonio Maria De Luca, una delle menti della rivolta, ad arrendersi, si minacciò di bruciare il paese di Celle di Bulgheria, di cui era originario. Il canonico, per evitare la distruzione del paese, si consegnò alle autorità e fu fucilato. Il tragico provvedimento della distruzione fu invece preso per il paesino di Bosco, accusato di aver dato rifugio e aiuto  ai rivoltosi. Il comune fu soppresso con un regio decreto del 28 luglio 1828, le case date al fuoco e distrutte, col divieto assoluto per i suoi abitanti di ricostruirle o di tornare a vivere in quel luogo. Solo molto tempo dopo, e dopo infinite suppliche rivolte al sovrano, essi poterono tornarvi e ricostruire le loro case.

I Capozzoli, catturati, furono fucilati pubblicamente nella piazza di Palinuro. L’unico che riuscì a fuggire fu Antonio Galotti, rifugiato in Corsica e preso sotto la protezione del governo francese. Di lui non si seppe più nulla.

Circa 150 anni dopo, giunse a Bosco il pittore spagnolo José Garcia Ortega, e se ne innamorò. Aveva 59 anni e un passato di combattente, di oppositore al regime franchista. Aveva trascorso anni in carcere per reati di opinione, e poi aveva conosciuto l’esilio dal suo paese, dove una dittatura cruenta, collegata alla dinastia dei Borbone,  ancora, soffocava le idee e le persone.

Artista divenuto famoso per le sue opere ma anche per il suo forte impegno politico, Ortega si stabilì a Bosco nel 1980, conquistato dalla bellezza dei luoghi ma anche dalle persone che li abitano, contadini dalle facce scure di sole e scavate come quelli della sua Murcia, come egli stesso racconta,  e da quella storia di dolore e di coraggio, che ha raccontato con dei bellissimi pannelli ceramici posti all’inizio del paese.

Il legame tra Ortega e il villaggio di Bosco è una testimonianza forte della continuità e del valore della resistenza dei singoli alla violenza del potere, che resta sempre tale sotto qualunque bandiera si nasconda.  Perché il vero antagonismo non è fra gruppi, fazioni, partiti,  governi o dinastie, ma fra chi gestisce il potere e chi lo subisce. Questo insegna ancora oggi la storia di Bosco, resa più viva e poetica dallo sguardo di José Garcia Ortega. E questo aggiunge alla bellezza dei paesaggi un valore in più, una nota di struggente amore per i luoghi in cui il destino ci ha fatti venire al mondo.


[1] A. Galotti, Memorie, a cura di Giuseppe Galzerano Casalvelino Scalo, Galzerano, 1998, pag. 7.

[2] Atti relativi all’intervento d S. M. il re delle Due Sicilie al congresso di Leybach, accompagnati da tutti i documenti correlativi, e disposti in guisa da dilucidare la storia del nuovo reggimento costituzionale del Regno: Napoli, nella tipografia del Parlamento Nazionale, 1821 pag.  35. La promessa fu inserita in un editto posteriore del 20 maggio 1815 vedi bollettino delle leggi e decreti reali del Regno delle due Sicilie, ma non le fu mai dato corso fino alla rivoluzione costituzionale del 1820.

 

 

Bosco, un viaggio nel tempoultima modifica: 2014-08-24T17:23:08+02:00da bibliosaura
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