Ricordi di lettura

Mi è capitato tra le mani un libro di letture delle mie scuole elementari. Mossa dalla curiosità e da una sottile nostalgia per quei giorni ormai lontani, ho cominciato a sfogliarne le pagine ingiallite, sporche di polvere (a un angolo smangiucchiate forse da un topo). Le avevo lette e rilette, quelle pagine, da bambina. Per la mia bulimia di lettrice, sviluppata già in quei tempi lontani. Per la mia passione per le “figure” che li illustravano. E adesso mi rendo conto che il contenuto del libro lo ricordo quasi a memoria.

Ma cominciamo dalla copertina.

Il libro si intitola Mamma. Lascio da parte le domande sul perché di questo titolo, che forse voleva creare una continuità – o una contiguità – tra la casa e la scuola,  o forse dimostrare che l’essere più prezioso per un bambino di sette anni era la mamma…  Il libro si intitola Mamma, e c’è il disegno di una giovane donna, bruna su sfondo verde, che stringe tra le braccia, con grande amore, un bambino (ma potrebbe anche essere una bambina: il disegno non è esplicito e lascia la porta aperta ai diritti del genere).

La madre ha uno sguardo dolce e sereno, guarda verso il futuro. In realtà madre e figli* guardano nella stessa direzione, anche se lo sguardo è diverso: quello di lei pacato e sereno, quello del figli* vivace, irrequieto… lei lo stringe forte, ma lui sembra voler scappare via.

Ma ci penseranno queste pagine, sembra dire la mamma, a tenerti qui vicino a me…

Infatti ricordo che, come avevo in mano il libro di letture, non mi fermavo finché non lo avevo letto tutto, e poi ricominciavo da capo.

Le storie che racconta parlano di un mondo che non c’è più. Un mondo prevalentemente contadino, in cui il tempo era scandito dalle quattro stagioni e dal lavoro dei campi. E questo mondo rurale era chiuso all’interno di una religiosità che si presentava pagina dopo pagina come la consolazione dal male di vivere, che pure è tanto presente.

In questi libri di scuola di tanti anni fa spesso le mamme morivano, i papà morivano anche loro o erano infelici perché senza lavoro, esistevano i poveri veramente poveri che non avevano neanche da mangiare. Lo sforzo di vivere si dipanava storia dopo storia, la Necessità – come divinità che decide il destino degli uomini – imponeva la sua legge, che di tanto in tanto era possibile aggirare con un trucco, come nel racconto mai dimenticato del crisantemo,  nel quale una bambina assiste la madre morente ma riesce a salvarle la vita moltiplicando i petali di un fiore (dio aveva concesso che la madre vivesse ancora tanti anni quanto erano i petali di quel fiore).

Ma in quello stesso libro un’altra mamma muore, lasciando due figli…la sua morte serve a dimostrare la bontà di un’altra madre, capace di prendersi cura di bimbi altrui. E poi muore un padre, un guardiano del faro – lavoro molto poco romantico, malpagato, da povero – e i due figli più grandicelli continuano al suo posto a far funzionare il faro, per aiutare la madre.

Muore anche un bambino, e la sorella gli porta un dolce sulla tomba. Anzi sono due i bambini morti (chi ricorda Pianto Antico?)

Non c’è ricchezza apparente che si riveli: nell’unica famiglia che può vantare una collaboratrice domestica, due ragazzi rinunciano per un anno allo zucchero nel latte del mattino per fare un dolce alla mamma per il suo compleanno.

Storie forti, patetiche anche troppo, capaci di commuovere un* bambin* di sette anni, di segnarne la sensibilità . Ma senza conflitto sociale, pacifiche storie di accettazione. C’erano dei valori, tra quelle pagine, valori spesso retorici: dignità, coraggio, pazienza, saggezza. La morte – per stenti, o in guerra – era un fatto tra i tanti della vita. Il mondo era così, nulla da fare. Ma già allora mi infastidiva la presenza continua di un dio tra le pagine, che decideva con arbitrio chi aiutare e chi no; precocemente scoprivo il mio agnosticismo. Avevo però a cuore le vicende di quei tanti sfortunati che abitavano il libro, e ammiravo la loro forza di volontà. Riscopro oggi che insieme alla piccola fiammiferaia, morta di freddo nella notte, al guardiano del faro, alla bambina del crisantemo, tra le pagine si nascondevano il giovane Torquato Tasso, Mark Twain, il mago Merlino….

L’anno si dipanava nel passare delle stagioni, e pagina dopo pagina una scoperta nuova: come nasce il panettone, come nasce Gesù, come nasce la bandiera italiana, come nasce la Gerusalemme Liberata… Si imparava la ragione per cui i fiori (che conoscevo dal  vero sin da allora) si chiamano in quel modo e non in un altro. Per ogni cosa c’era una storia.

C’è anche La Notte Santa, che recitammo in un’aula gelida un Natale di mille anni fa. e che adesso scopro uscita dalla penna del caro Gozzano…

Il campanile scocca lentamente le dieci…

Forse non è proprio questo il mio libro, vedo dall’anno di edizione che non può essere questo.  Forse io avevo un’edizione successiva, forse i racconti e le copertine hanno continuato ad essere uguali per anni. Non so, altrimenti, come ricorderei tutto così precisamente, in alcuni punti quasi a memoria.

Ho capito, un po’ più tardi, che questo piccolo universo era concepito apposta per la nostra mente bambina, per indirizzarla in una certa direzione, ma non glie ne voglio agli autori. L’educazione è così, e difficilmente può essere altrimenti: i libri sono concepiti da adulti che hanno le proprie idee. Ma un libro, una volta messo al mondo, diventa un essere a sé e ognuno può interpretarlo secondo i propri codici. Per me questo libro – insieme ad altri simili – è stato l’inizio della mia personale scoperta del mondo. Di certo in qualcosa mi avrà manipolata, ma non saprei dire in cosa. Forse nella tenerezza per gli ultimi, per gli sconfitti, per mia madre?

Di certo questo libro ci continua a raccontare, oggi, di come eravamo, di come siamo stati.

Ricordi di letturaultima modifica: 2015-03-19T15:04:08+01:00da bibliosaura
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