Suite francese, di Irène Némirovsky

L’ultimo libro che ho letto in ordine di tempo è Suite francese. L’ho letto quasi d’un fiato, e non è impresa da poco, perché tra le prime righe (“Che pesante, pensavano i parigini. L’aria di primavera. Una notte di guerra, L’allarme”) e le ultime (“Gli uomini si misero a cantare. Un canto greve e lento che si perdeva nella notte…”) trascorrono oltre 400 pagine e un intero anno. L’ho letto d’un fiato e mi è sembrato, a un certo punto, di essere uno dei tanti personaggi. Dopo aver letto le ultime frasi ho chiuso il libro, ma la sua atmosfera ha continuato a circondarmi per giorni.

Partiamo dal titolo. Suite, in linguaggio musicale, vuol dire “composizione strumentale … i cui movimenti sono costituiti da diverse forme di danza di uguale tonalità.” Nelle intenzioni dell’autrice il libro doveva essere costituito come una partitura fatta di diversi movimenti, legati dallo stesso filo rosso, l’occupazione della Francia da parte dell’esercito tedesco nel 1940.

La storia ha inizio infatti con l’esodo degli abitanti di Parigi che, terrorizzati dall’arrivo delle truppe tedesche, abbandonano in massa la città e si mettono in marcia alla ricerca di una possibile salvezza nelle campagne di Francia. La prima parte del libro è  assorbita dal racconto di questo esodo, attraverso la storia  di un gruppo  di persone – diversi nuclei familiari – che vengono seguiti nel lento procedere verso una meta sempre più lontana man mano che altra gente, altre automobili, altri carretti  si riversano nelle strade rendendo sempre più difficile andare avanti, mentre dal cielo cominciano a cadere le bombe. L’intento della narratrice, come lei stessa racconta nel diario che accompagna la stesura del libro, non è quello di raccontare i grandi eventi storici, che restano sullo sfondo, ma l’apocalisse della vita quotidiana di queste persone, i loro sentimenti contrastanti nei confronti della guerra, dell’invasore e della patria,  l’ipocrisia borghese di un apparente senso di fedeltà a certi principi e il desiderio umano, troppo umano di salvare la vita e se possibile le cose. Con grande abilità la Némirovsky ci conduce nei pensieri più reconditi di questi personaggi, in una specie di flusso di coscienza collettivo che dilaga sulle strade di Francia insieme ai fuggiaschi: una  interrogazione ininterrotta sul senso della grande retorica della guerra e sulle parole che ne sono a corredo: onor di patria, prima di tutto, solidarietà, coesione, sacrificio. A essere messi sotto osservazione non solo soltanto i rapporti vinto/vincitore (sarebbe stato molto facile assumere questa prospettiva) ma anche i rapporti di classe all’interno del gruppo dei vinti, gli odi antichi, il risentimento coltivato dalle classi più umili che solo venti anni prima avevano lasciato sull’altare della patria milioni di  giovani vite. I soldati della prima guerra sembrano guardare con tristezza, dalle loro fotografie appese ai muri della povere case, questa nuova immane tempesta che si abbatte sulle teste dei vivi. A tal punto sembra ineluttabile la guerra che uno dei protagonisti afferma: “Ci sono leggi che governano il mondo e che non son fatte né pro né contro di noi. Quando scoppia il temporale non te la prendi con nessuno, sai che il fulmine è il prodotto di due diverse polarità elettriche. ”

Un altro aspetto fondamentale affrontato dal libro è la figura del nemico: non il nemico senza volto che spara dall’altra parte di una postazione, ma colui che viene a vivere nella stessa casa, con cui è possibile condividere emozioni, conversazioni, speranze: un uomo come gli altri, forse più interessante degli altri per tutto ciò che di misterioso porta con sé nella sua essenza di straniero, di cui ci si potrebbe anche innamorare ma che, alla fine, non smette di essere il nemico, colui che per obbedire a un ordine non esiterebbe a uccidere chi fino a quel momento ha detto di amare. Anche i personaggi di questa seconda parte sono analizzati fin nell’abisso dei loro pensieri. laddove i sentimenti opposti si scontrano e cozzano violentemente fra di loro.

Il tema della libertà percorre tutto le pagine, condensandosi nella figura di Lucile e nel racconto della fuga del gatto Albert. Questi, ignaro della guerra ma prigioniero in una cesta, fugge attratto dal profumo della campagna, e in una notte di luna piena trova ciò che non aveva mai conosciuto in tutta la sua vita. Umanità e “animalità” si confondono in Lucile, laddove l’animalità non è un basso istinto della carne ma  il desiderio – impossibile da realizzare – di essere libera dalle sovrastrutture sociali per rapportarsi all’altro – in questo caso il nemico – da individuo a individuo. Impossibile libertà.

Molto spesso, durante la lettura, Suite Francese mi ha evocato in qualche modo un altro grande romanzo: la Storia, di Elsa Morante. Quest’ultimo è ambientato durante l’occupazione nazista di Roma,  nel 1943 (pochi anni dopo gli eventi di Parigi), e vi aleggia la disgregazione della società civile di fronte al pericolo, la solitudine degli ultimi. Mettere a confronto i due romanzi potrebbe dirci molto sull’approccio più intimo e personale che le scrittrici hanno col materiale “guerra”.

Irène Némirovsky, ebrea ucraina, visse in Francia fino al 1942 quando fu deportata ad Auschwitz dove morì un mese dopo. Molti suoi libri (I cani e i lupi, ad esempio)  hanno come soggetto la propria comunità d’origine, che lei narra col suo stile profondo e graffiante, libero da condizionamenti di appartenenza e di classe.  Per questo si ritrovò, in vita, ad essere accusata di antisemitismo e allo stesso tempo condivise la sorte dei milioni di ebrei nei campi di concentramento.

Suite francese, di Irène Némirovskyultima modifica: 2015-09-12T08:20:32+02:00da bibliosaura
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